martedì 19 ottobre 2010
La piada, pane dei poveri.
E dopo la magia del pane, dobbiamo onorare la piada, pane povero,tipico dei contadini romagnoli.
Era considerato infatti il pane della povera gente, tanto che l’Artusi disdegnò di inserire la piada nella sua”Scienza in cucina” perché non lo riteneva degno di figurare fra i cibi da lui offerti al ceto borghese e benestante.
Aldo Spallicci, che nel 1920 fondo la famosa rivista “La Piè”, ce ne dà gli ingredienti:un chilo di farina poco setacciata, un pizzico di bicarbonato, 50-100 grammi di strutto e un cucchiaino raso di sale.
Si aggiunge acqua per fare un impasto piuttosto consistente. Si fanno poi delle pagnottelle e ognuna poi si assottiglia col matterello fino ad ottenere un disco di pochi millimetri di spessore.
In ultimo si cuoce sul testo bucherellandone la superficie con una forchetta ,poi si taglia in quattro parti ed è pronta da mettere in tavola.
Con un chilogrammo di farina si possono fare perfino sei o sette piade ,il pane per una famiglia di quattro o cinque componenti.
Una volta, nei tempi di miseria , soprattutto presso le famiglie bracciantili, la piada si usava farla con la farina “d’amstura”, cioè con una mistura di farina di grano e di granoturco : veniva chiamata “e’ piadot” e a volte era fatta anche solo di farina di granoturco e veniva grossa e scura e granulosa.
Oggi la piada è diventata un simbolo distintivo della Romagna ma ora viene chiamata da tutti “piadina”,specie se ci si riferisce a quella servita nei nostri ristoranti tipici o venduta negli appositi chioschi e soprattutto non si cuoce più sul testo di terracotta ma sulla lastra di ferro infuocata dal gas.
Fu Giovanni Pascoli che italianizzò la parola “piè”,”pièda” “pida” in piada, e quando fu costretto ad abbandonare la Romagna ,dalla casa di San Mauro portò con sé due sole cose: una pianta di erba cedrina che con il suo profumo gli ricordasse il giardino della madre e un testo che gli doveva servire per fare, con le sorelle Ida e Mariù la piada, “il pane che si fa’da soli”.
Scrive il Poeta:
…………..
Ma tu,Maria,con le tue mani blande
domi la pasta e poi l’allarghi e spiani,
ed ecco è liscia come un foglio,e grande
come la luna; e sulle aperte mani
tu me l’arrechi , e me l’adagi molle
sul testo caldo, e quindi t’allontani.
Io la giro, e le attizzo con le molle
il fuoco sotto, fin che stride invasa
dal calor mite ,e si rigonfia in bolle:
e l’odore del pane empie la casa.
« La j'è bona in tot i mud, la j'è bona énca scundida: se' n'avé ancora capì, a scor propri dla pida. »
RispondiElimina« È buona in tutti i modi, è buona anche scondita: se non avete ancora capito, parlo proprio della piadina. »
La si può gustare quasi ovunque e sono numerosi, lungo le strade della Romagna, i piccoli chioschi (baracchini della piadina) che propongono la piada sia nella versione classica sia con i vari ripieni.
L'importante è che sia sempre accompagnata da un buon vino tipico delle campagne romagnole: il sangiovese, il trebbiano, il pagadébit, l'albana, la cagnina...
ho vissuto tre anni a ravenna.
RispondiEliminami manca ravenna.. mi manca la piada! oddio quanto mi manca!
Eh si....Ravenna è una bellissima città,della quale si può avere nostalgia, ma anche la piada ha la capacità di essere ricordata nel tempo da chiunque l'abbia anche solo assaggiata una volta....!
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