mercoledì 15 giugno 2011
La mietitura a mano.
La mietitura del grano ,molti anni fa,era un lavoro che durava dieci-quindici giorni, e prima di iniziare i lavori, se c’erano nubi, aspettavano finchè non si fossero sciolte.
In quei giorni si trasformavano tutti in esperti di meteorologia e ognuno diceva la sua: chi guardava i piccioni se tornavano tardi alla colombaia, se l’usignolo cantava tutta la notte, o se i passeri erano più chiassosi del solito e le rane si tuffavano nei fossi , tutti segnali di pioggia imminente.
Inoltre , per scaramanzia, non si cominciava mai a mietere di venerdì, ma ,se si poteva, il giorno propizio alla buona sorte era il sabato.
Per san Giovanni, 24 giugno, si diceva che il grano si poteva mietere anche se non era secco, perché era maturo.
A mano a mano che si mieteva , aumentava il numero dei covoni, che molti lasciavano nel campo perché dicevano che erano più sicuri che nel “barco”, nella bica, e li portavano a casa col biroccio poco prima di trebbiare
Durante la mietitura tutti i componenti della famiglia lavoravano il più possibile, da buio a buio, per spendere meno in manodopera esterna, magari con l’aiuto di qualche parente o vicino,a cui ricambiare il favore con del grano a fine raccolto.
Molte famiglie, nel periodo della mietitura non guardavano all’economia: il primo spuntino si faceva verso le 6 di mattina, dopo un’ora o due di lavoro,a base di pane,salame e formaggio.
Poi verso le 9 c ‘era la colazione vera e propria, portata dall’”arzdòra” nel campo dove si lavorava. Di solito era una frittata , o pancetta fritta condita con l’aceto , qualche fetta di formaggio, pane a volontà e vino del migliore con acqua fresca del pozzo.
A mezzogiorno invece si tornava a casa per mangiare a tavola e dopo si faceva un pisolino di mezz’ora , all’ombra di un pagliaio o di una pianta , e poi via fino a sera, nel caldo e nella polvere.
E intanto che si lavorava si buttava sempre un occhio al cielo, e si badava che non nascessero nubi verso il “malcantòun”, da dove potevano venire temporali con pioggia e grandine.
In questo caso , a sera,dopo cena ,aspettavano il canto del gallo, che” se e’ chènta e’ gal dop zèna, quand l’è nòval u s’arserena”.
eeee la fatica... oggi la gente non la conosce... se non l'hanno conosciuta a quei tempi... altro che footing e palestra per stare in forma...
RispondiEliminaEra piu' faticoso il taglio dell'erba per il fieno, con la "fera",specialmente il 1°taglio (maggio)..
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