domenica 2 gennaio 2011
Le uova nella campagna appena ieri.
Un tempo le famiglie contadine si industriavano molto nell’allevamento dei polli e delle galline
ovaiole:era un compito che spettava quasi sempre all’”azdoura” di casa, che aveva il totale comando sugli animali ruspanti del pollaio.
Era questo un lavoro importante, perché c’era da far fronte sia alle esigenze familiari sia ai periodici censi padronali in uova e polli definiti dal contratto mezzadrile , quantitativamente differenziati a seconda dell’ampiezza del podere.
Di solito , oltre al paio di capponi a Natale, c’era il paio di galletti a Pasqua e per la trebbiatura e le 100 e più uova nel corso dell’anno, senza contare le regalie all’eventuale fattore e al prete che “passava a benedire” nel periodo pasquale.
Normalmente con una quindicina di galline ovaiole si riusciva a far fronte a tutte queste esigenze e anche a destinare qualche uovo alla vendita per raggranellare quei soldi che servivano per acquistare sale, zucchero ,bicarbonato, olio e quant’altro poteva abbisognare per la casa.
La mia bisnonna riuscì in questo modo a mandare avanti la famiglia senza dover chiedere troppo spesso i soldi al marito e per sicurezza teneva il cestino con le uova ben nascosto sotto il letto o nell’armadio chiuso a chiave.
Per ovviare all’inconveniente di rimanere senza uova nei mesi invernali nei quali le galline non ne deponevano o ne producevano in numero insufficiente, da maggio-giugno si mettevano sotto la calce e si conservavano perfettamente, anche se erano adatte per lo più per fare la sfoglia.
Era un procedimento semplice: si faceva sciogliere la calce nell’acqua mescolando bene, poi si lasciava riposare in modo che la calce si deponesse sul fondo e intanto si mettevano le uova uno sopra l’altro in un piccolo orcio di terracotta smaltata versandovi sopra l’acqua di calce così ottenuta.
La mia bisnonna e la mia nonna molte volte hanno messo in tavola la minestra di “sfoglia matta”, senza uova, per risparmiarle e venderle al mercato ,ma anche se era un sacrificio,era l’unico modo a quei tempi,per le donne,di poter comprare quei generi necessari che la campagna non dava.
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oggi chissà perchè mi è venuto in mente che mia madre parlava di questo tipo di conservazione ed ho cercato notizie.Mi ha fatto piacere vedere che qualcuno si ricordava di questo procedimento.Non bisogna dimenticare queste cose che un domani potrebbero tornare a servire,grazie
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