sabato 29 maggio 2010
TROVIAMOCI
Sempre questa sera alle 21 a SANT'ANDREA IN CASALE, dove mi ero dimenticata dirvi, ci saranno anche i neo poeti con i genitori. E' per questo che quest'anno i semplici libretti con le Poesie, regalati al pubblico, saranno molto più ricchi e sostanziosi. Poter incontrare neo poeti dialettali é una importante novità. L'idea è di Claudio Casadei. Battiamogli le mani !Grazia.
TROVIAMOCI
Troviamoci tutti- questa sera 29 maggio alle ore 21 - alla Sala Polivalente di Sant'Andrea in Casale di San Clemente. Un niente per arrivarci. Volendo fare la collina, dove non passa quasi mai una macchina, poco prima d'arrivare a Coriano voltate per San Clemente, e, di lì, dopo una breva discesa, siete subito davanti alla Sala Polivalente di Sant'Andrea in Casale dove, alle ore 9, o giù di lì, inizieranno i divertimenti poetici, con anche un sacco di risate.
Se, invece, venite dalla pianura, fate Rimini, poi Riccione, e sempre dritti per l'Adriatica, dove ancora non c'è una rotonda ma un semaforo, voltate a destra verso Sant'Andrea in Casale,dove arriverete dopo circa nove minuti, voltando poi a sinistra per sistemare subito l'auto ed entrare nel mitico mondo dialettale romagnolo che ti fa ridere e piangere insieme, e se, come accade anche nella vita, ti rimane un po' di tristezza dopo la risata, non ti mancherà un bel sorso di buon vino dopo un pezzo di ciambella.
Ciao a tutti, a questa sera
GRAZIA E GIOVANNA
Se, invece, venite dalla pianura, fate Rimini, poi Riccione, e sempre dritti per l'Adriatica, dove ancora non c'è una rotonda ma un semaforo, voltate a destra verso Sant'Andrea in Casale,dove arriverete dopo circa nove minuti, voltando poi a sinistra per sistemare subito l'auto ed entrare nel mitico mondo dialettale romagnolo che ti fa ridere e piangere insieme, e se, come accade anche nella vita, ti rimane un po' di tristezza dopo la risata, non ti mancherà un bel sorso di buon vino dopo un pezzo di ciambella.
Ciao a tutti, a questa sera
GRAZIA E GIOVANNA
martedì 25 maggio 2010
LA DOTE DELLA SPOSA.
Franco ha pubblicato la foto di un carro col quale un tempo i contadini ricchi trasportavano il corredo delle spose, che a volte poteva essere veramente notevole sia per numero sia per qualità.
Infatti fino a non molti decenni fa,in campagna, il corredo in dote alle spose era una faccenda che richiedeva anni di lavoro: lenzuola ,tovaglie,coperte e asciugamani si tessevano a telaio e camicie e indumenti si facevano preparare e cucire dalle sarte e dalle ricamatrici.
A seconda dei capi ,il corredo normalmente poteva essere alla “otto”, alla “sei”,oppure più modesto alla “quattro”,sebbene spesso, a causa della grande povertà, soprattutto nelle famiglie dei braccianti, si riusciva a mettere insieme solo l’indispensabile.
Questa che ho trovato, è la “stima” della dote di una ragazza di San Paolo di Jesi, Iolanda, sottoscritta il primo ottobre 1950, in occasione del suo matrimonio con Giovanni.
La dote è composta da:
1 materasso di lana, 1 imbottita di lana, 1 guanciale di lana e 3 di piuma, 3 coperte da letto,
9 lenzuoli cuciti, 11 lenzuoli in pezza, 6 federe di canapa, 2 federe di mussola,
8 camicie cucite, 30 camicie in pezza, 4 asciugamani di spugna buoni ,4 ordinari, 4 di tela,
1 tovaglia da dodici e 1 da otto, 12 fazzoletti da naso, 6 mutande, 5 sottovesti, 7 canottiere di cotone
e 2 di lana, 3 maglie di lana, 3 busti nuovi, 1 veste di rigatino in pezza, 1 veste di cotone in pezza, 2 zinali in rigatino, 3 fazzoletti da testa di cotone e 1 di seta, 5 paia di calze nuove, 2 vesti di rigatino nuove, 7 vesti usate, 1 blusa nuova, 1 paltò nuovo e 2 usati, 1 vestito nuovo di lana, 1 veste da sposa, 2 tende per finestra, 2 paia di scarpe nuove, 2 paia di scarpe usate, 1 paio di ciabatte nuove e 1 paio usate, 1 ombrello nuovo, 1 scopetta, 1 forbice e 1 pettine, 1 fede e 1 anello.
La camera da letto a metà.
G.
Infatti fino a non molti decenni fa,in campagna, il corredo in dote alle spose era una faccenda che richiedeva anni di lavoro: lenzuola ,tovaglie,coperte e asciugamani si tessevano a telaio e camicie e indumenti si facevano preparare e cucire dalle sarte e dalle ricamatrici.
A seconda dei capi ,il corredo normalmente poteva essere alla “otto”, alla “sei”,oppure più modesto alla “quattro”,sebbene spesso, a causa della grande povertà, soprattutto nelle famiglie dei braccianti, si riusciva a mettere insieme solo l’indispensabile.
Questa che ho trovato, è la “stima” della dote di una ragazza di San Paolo di Jesi, Iolanda, sottoscritta il primo ottobre 1950, in occasione del suo matrimonio con Giovanni.
La dote è composta da:
1 materasso di lana, 1 imbottita di lana, 1 guanciale di lana e 3 di piuma, 3 coperte da letto,
9 lenzuoli cuciti, 11 lenzuoli in pezza, 6 federe di canapa, 2 federe di mussola,
8 camicie cucite, 30 camicie in pezza, 4 asciugamani di spugna buoni ,4 ordinari, 4 di tela,
1 tovaglia da dodici e 1 da otto, 12 fazzoletti da naso, 6 mutande, 5 sottovesti, 7 canottiere di cotone
e 2 di lana, 3 maglie di lana, 3 busti nuovi, 1 veste di rigatino in pezza, 1 veste di cotone in pezza, 2 zinali in rigatino, 3 fazzoletti da testa di cotone e 1 di seta, 5 paia di calze nuove, 2 vesti di rigatino nuove, 7 vesti usate, 1 blusa nuova, 1 paltò nuovo e 2 usati, 1 vestito nuovo di lana, 1 veste da sposa, 2 tende per finestra, 2 paia di scarpe nuove, 2 paia di scarpe usate, 1 paio di ciabatte nuove e 1 paio usate, 1 ombrello nuovo, 1 scopetta, 1 forbice e 1 pettine, 1 fede e 1 anello.
La camera da letto a metà.
G.
domenica 23 maggio 2010
sabato 22 maggio 2010
24 MAGGIO 1915: LA GRANDE GUERRA
Dopo nove mesi di tentennamenti, l’Italia rinuncia alla neutralità e si getta nella mischia . Allo scoccare della mezzanotte del 23 maggio 1915, il governo Italiano scende in guerra contro Austria e Germania,e già i muri di paesi e città sono via via tappezzati di manifesti gialli che ordinavano alla mobilitazione generale.
Venivano chiamati alle armi gli appartenenti a 21 classi di leva: dai nati del 1876 a quelli del 1896.
Molte di queste classi dovevano già partire in mattinata.
In Romagna,all’alba del 24 maggio,lunedì di Pentecoste , una prima formidabile detonazione fu avvertita in tutto l’entroterra riminese e oltre, verso Cesena, e fece tremare i vetri alle finestre nei paesi,destando tutti di soprassalto.
Alla prima ne seguì una seconda e altre in sequenza: un incrociatore austriaco aveva cominciato la sua guerra contro di noi bombardando il porto di Rimini, mentre altri episodi simili erano avvenuti in altre città costiere dell’Adriatico.
Dopo appena tre settimane di guerra,però, l’ottimismo degli interventisti , che avevano inneggiato al “maggio radioso” comincia ad afflosciarsi .
L’Italia avrebbe sofferto la guerra per lunghi, interminabili quarantuno mesi, dopodiché si sarebbero contati 700.000 soldati morti e un milione e mezzo di feriti , molti dei quali sarebbero rimasti inabili per sempre.
La guerra inoltre aveva creato molti malumori nella società contadina,da dove proveniva la maggior parte dei militari:in pratica lo scontro contadino-soldato,e operaio-imboscato, derivava dal fatto che la paga media di un lavoratore dell’industria era di sette lire al giorno, mentre quella di un fante era di appena novanta centesimi.
Chi combatteva rischiando la vita veniva pagato meno di una lira al giorno e a casa erano le donne e i vecchi a mandare avanti la campagna e a patire fame e sacrifici.
Il costo della guerra superò di cento volte quello preventivato,e lasciò l’Italia stremata.
Con l’armistizio del 4 novembre 1918 si mette fine alla guerra ma rimane aperto il fronte interno : un paio di scarpe dalle 15 lire del 1915 ora ne costa il doppio;il pane è aumentato di 15 centesimi, la carne di 6 lire e mezzo, la disoccupazione va crescendo spaventosamente e i salari sono rimasti al palo .
Agitazioni,scioperi e un ventennio di dittatura sono già nell’aria……
G.
Venivano chiamati alle armi gli appartenenti a 21 classi di leva: dai nati del 1876 a quelli del 1896.
Molte di queste classi dovevano già partire in mattinata.
In Romagna,all’alba del 24 maggio,lunedì di Pentecoste , una prima formidabile detonazione fu avvertita in tutto l’entroterra riminese e oltre, verso Cesena, e fece tremare i vetri alle finestre nei paesi,destando tutti di soprassalto.
Alla prima ne seguì una seconda e altre in sequenza: un incrociatore austriaco aveva cominciato la sua guerra contro di noi bombardando il porto di Rimini, mentre altri episodi simili erano avvenuti in altre città costiere dell’Adriatico.
Dopo appena tre settimane di guerra,però, l’ottimismo degli interventisti , che avevano inneggiato al “maggio radioso” comincia ad afflosciarsi .
L’Italia avrebbe sofferto la guerra per lunghi, interminabili quarantuno mesi, dopodiché si sarebbero contati 700.000 soldati morti e un milione e mezzo di feriti , molti dei quali sarebbero rimasti inabili per sempre.
La guerra inoltre aveva creato molti malumori nella società contadina,da dove proveniva la maggior parte dei militari:in pratica lo scontro contadino-soldato,e operaio-imboscato, derivava dal fatto che la paga media di un lavoratore dell’industria era di sette lire al giorno, mentre quella di un fante era di appena novanta centesimi.
Chi combatteva rischiando la vita veniva pagato meno di una lira al giorno e a casa erano le donne e i vecchi a mandare avanti la campagna e a patire fame e sacrifici.
Il costo della guerra superò di cento volte quello preventivato,e lasciò l’Italia stremata.
Con l’armistizio del 4 novembre 1918 si mette fine alla guerra ma rimane aperto il fronte interno : un paio di scarpe dalle 15 lire del 1915 ora ne costa il doppio;il pane è aumentato di 15 centesimi, la carne di 6 lire e mezzo, la disoccupazione va crescendo spaventosamente e i salari sono rimasti al palo .
Agitazioni,scioperi e un ventennio di dittatura sono già nell’aria……
G.
mercoledì 19 maggio 2010
martedì 18 maggio 2010
Gli spaccapietre
Un tempo ,nelle strade , anche quelle di campagna, si spargeva ghiaino minuto,ma i fondi e le massicciate erano fatti di sassi spaccati, ricavati a colpi di martello.
Esiste tutta una letteratura sugli spaccapietre: Quondamatteo ricorda quelli che sulle banchine del porto di Rimini lavoravano seduti davanti a mucchi di grossi ciottoli che i barrocciai portavano dal fiume vicino.
Altri spaccapietre lavoravano sul posto, presso gli argini del Marecchia,tutti bianchi di polvere , e mia mamma ricorda di averli visti anche negli anni dopo la guerra.
Era un mestiere tra i più ingrati, sia nei mesi estivi,quando stavano ore sotto il sole spaccando sassi dall’alba al tramonto,sia d’inverno con il freddo e le gelate.
Con ogni tempo, dunque ,lo spaccapietre sedeva sul suo mucchio di sassi di fiume e consumava la sua giornata, finchè la massa che stava alla sua sinistra non era passata dall’altra parte , ridotta dal suo pesante martello in frantumi di breccia acuta e tagliente.
Spesso il sasso era troppo duro, oppure il martello batteva in falso e, malgrado l’abilità ,ci scappava qualche ammaccatura ,non di rado fino al sangue.
Tutti gli spaccapietre avevano mani callose e deformate ,le gambe storte e rigide per lo stare a sedere così tante ore ,la schiena curvata e il corpo martoriato dai dolori.
Più che un lavoro era una condanna,e spesso ad un certo punto dovevano smetterlo per le mani rovinate dai colpi di martello o per gli occhi malati per la polvere e le minute scheggie che superavano la precaria protezione degli occhiali con la rete.
G.
domenica 16 maggio 2010
17 MAGGIO 1916 ,TERREMOTO IN ROMAGNA
La Romagna, come la gran parte del nostro Paese, è da sempre terra soggetta a terremoti, più o meno violenti, e se ne sono registrati diversi fin dalle cronache più antiche, tra i quali quelli rovinosi degli anni 1661, 1672 e 1688.
Nel 1724 iniziò una serie di scosse leggere ma insistenti che si prolungarono per ben due anni senza tregua, che causarono grande paura e smarrimento nella popolazione.
Un altro grave sisma colpì la nostra zona il giorno di Natale del 1786, che causò anche un certo numero di morti oltre a notevoli danni materiali.
Scosse e danni si ebbero in seguito il 16 e 17 ottobre del 1861 nel forlivese e nel ravennate,e poi nel 1875, con rovine a campanili e palazzi.
Fino ad arrivare al 17 maggio 1916, quando il territorio romagnolo subì la prima forte scossa tellurica di un movimento sismico che continuò con varia intensità fino a dicembre dello stesso anno e si manifestò anche il 16 giugno e con più violenza il 16 agosto.
Le città più danneggiate dalle varie riprese del sisma furono Rimini e Riccione: la prima ebbe 4 morti e una sessantina di feriti, la seconda 15 morti.
A Rimini dovettero essere demoliti più di 600 degli oltre 1000 edifici danneggiati e danni gravissimi subirono molte chiese e il Teatro V. Emanuele.
Il terremoto causò danni anche in diversi paesi delle Marche, sebbene di non grande entità e nel cesenate e nel forlivese fino a Sarsina.
A Santarcangelo e a Savignano la gran parte delle abitazioni subì danni e lesioni anche gravi e molti campanili rovinarono ,come quello di Gatteo.
A causa della guerra , l’esercito non potè aiutare la popolazione ,che venne soccorsa dal Genio Civile e grandi furono i disagi per i senzatetto ,alcuni dei quali,a Rimini,trovarono rifugio perfino nei casotti degli stabilimenti balneari.
G.
Nel 1724 iniziò una serie di scosse leggere ma insistenti che si prolungarono per ben due anni senza tregua, che causarono grande paura e smarrimento nella popolazione.
Un altro grave sisma colpì la nostra zona il giorno di Natale del 1786, che causò anche un certo numero di morti oltre a notevoli danni materiali.
Scosse e danni si ebbero in seguito il 16 e 17 ottobre del 1861 nel forlivese e nel ravennate,e poi nel 1875, con rovine a campanili e palazzi.
Fino ad arrivare al 17 maggio 1916, quando il territorio romagnolo subì la prima forte scossa tellurica di un movimento sismico che continuò con varia intensità fino a dicembre dello stesso anno e si manifestò anche il 16 giugno e con più violenza il 16 agosto.
Le città più danneggiate dalle varie riprese del sisma furono Rimini e Riccione: la prima ebbe 4 morti e una sessantina di feriti, la seconda 15 morti.
A Rimini dovettero essere demoliti più di 600 degli oltre 1000 edifici danneggiati e danni gravissimi subirono molte chiese e il Teatro V. Emanuele.
Il terremoto causò danni anche in diversi paesi delle Marche, sebbene di non grande entità e nel cesenate e nel forlivese fino a Sarsina.
A Santarcangelo e a Savignano la gran parte delle abitazioni subì danni e lesioni anche gravi e molti campanili rovinarono ,come quello di Gatteo.
A causa della guerra , l’esercito non potè aiutare la popolazione ,che venne soccorsa dal Genio Civile e grandi furono i disagi per i senzatetto ,alcuni dei quali,a Rimini,trovarono rifugio perfino nei casotti degli stabilimenti balneari.
G.
mercoledì 12 maggio 2010
IL CALENDARIO LUNARE
Fin dall’antichità, l’uomo ha rivolto gli occhi al cielo ,ha visto il Sole nascere e morire, il giorno e la notte, la Luna calare e crescere e ben presto cominciò ad osservare questi ritmi che cadenzavano lo scorrere del tempo.
La Luna, con le sue fasi così prevedibili, fu la soluzione più semplice per registrare il passare del tempo e lo dimostra anche quello che probabilmente è il più antico calendario lunare: un osso sul quale un uomo di ventimila anni fa ha praticato 69 incisioni a spirale a forma di falce, di fagiolo, di moneta, rappresentando così le fasi lunari di un paio di mesi.
Da quando l’uomo è diventato stanziale e dipendente dai prodotti agricoli, il lavoro nei campi è stato sempre più ritmato dall’apparire ,dal crescere e dal decrescere della Luna che influisce sulla vita vegetale e animale,alimentando quella cultura popolare che sopravvive nei detti e nelle tradizioni ancora oggi.
Fino alla riforma del calendario Giuliano verso la metà del primo secolo a.C. ,anche il calendario romano si basava sul ciclo lunare e il “mese” altro non era che il tempo che scorreva tra la Luna nuova e quella successiva.
Ogni “mese lunare” dura 29 giorni ,12 ore e 44minuti, il che fa’un”anno lunare” di 354giorni,8 ore e48 minuti, misura sulla quale si basano ancora i calendari cinesi, musulmani e in parte quello ebraico.
“La Luna è l’almanacco dei poveri”,recita un detto e un altro ci avverte che “Detto popolare, avviso salutare”e i nostri contadini avevano grande rispetto per le fasi lunari e il lavoro nei campi era ritmato dal crescere e dal decrescere della Luna.
In luna crescente generalmente vanno consigliate le semine ,la raccolta degli ortaggi da consumare freschi.,i trapianti,le talee, l’interramento dei bulbi a fioritura primaverile e si imbottigliano i vini da consumare giovani e frizzanti.
In Luna calante vanno seminati gli ortaggi che tendono ad andare a seme come basilico,sedani, spinaci ecc. o quelli che si sviluppano sotto terra come le patate.Si fanno potature ed innesti ,si rimuovono i polloni, si diradano i frutticini sulle piante , si mettono ad essiccare le erbe aromatiche,aglio e cipolle e si imbottigliano i vini destinati all’invecchiamento.
Qualche scettico naturalmente c’è sempre stato ,tanto che c’è il detto: “Se il contadino guarda la Luna, di cento faccende non ne fa una”,ma i lunari hanno sempre avuto grande consenso nel mondo agricolo e nella cultura popolare e riscuotono ancora molta considerazione.
G.
La Luna, con le sue fasi così prevedibili, fu la soluzione più semplice per registrare il passare del tempo e lo dimostra anche quello che probabilmente è il più antico calendario lunare: un osso sul quale un uomo di ventimila anni fa ha praticato 69 incisioni a spirale a forma di falce, di fagiolo, di moneta, rappresentando così le fasi lunari di un paio di mesi.
Da quando l’uomo è diventato stanziale e dipendente dai prodotti agricoli, il lavoro nei campi è stato sempre più ritmato dall’apparire ,dal crescere e dal decrescere della Luna che influisce sulla vita vegetale e animale,alimentando quella cultura popolare che sopravvive nei detti e nelle tradizioni ancora oggi.
Fino alla riforma del calendario Giuliano verso la metà del primo secolo a.C. ,anche il calendario romano si basava sul ciclo lunare e il “mese” altro non era che il tempo che scorreva tra la Luna nuova e quella successiva.
Ogni “mese lunare” dura 29 giorni ,12 ore e 44minuti, il che fa’un”anno lunare” di 354giorni,8 ore e48 minuti, misura sulla quale si basano ancora i calendari cinesi, musulmani e in parte quello ebraico.
“La Luna è l’almanacco dei poveri”,recita un detto e un altro ci avverte che “Detto popolare, avviso salutare”e i nostri contadini avevano grande rispetto per le fasi lunari e il lavoro nei campi era ritmato dal crescere e dal decrescere della Luna.
In luna crescente generalmente vanno consigliate le semine ,la raccolta degli ortaggi da consumare freschi.,i trapianti,le talee, l’interramento dei bulbi a fioritura primaverile e si imbottigliano i vini da consumare giovani e frizzanti.
In Luna calante vanno seminati gli ortaggi che tendono ad andare a seme come basilico,sedani, spinaci ecc. o quelli che si sviluppano sotto terra come le patate.Si fanno potature ed innesti ,si rimuovono i polloni, si diradano i frutticini sulle piante , si mettono ad essiccare le erbe aromatiche,aglio e cipolle e si imbottigliano i vini destinati all’invecchiamento.
Qualche scettico naturalmente c’è sempre stato ,tanto che c’è il detto: “Se il contadino guarda la Luna, di cento faccende non ne fa una”,ma i lunari hanno sempre avuto grande consenso nel mondo agricolo e nella cultura popolare e riscuotono ancora molta considerazione.
G.
venerdì 7 maggio 2010
Il biancospino.
Il mese dell’anno che per i Celti cadeva fra la metà di maggio e la prima decade di giugno, era dedicato al biancospino, che i Romani chiamavano “alba spina” spina bianca .
I Romani avevano consacrato l’albero a Maia che regnava sul mese di Maggio e imponeva la castità ,essendo quello il mese delle purificazioni.
Con il cristianesimo,poi, il mese di Maggio venne dedicato alla Madonna e ad essa il biancospino.
E una pianta da pieno sole, di rapida crescita e per tutti i tipi di terreni, anche i più ingrati.
In terra di Romagna ,esso veniva osservato con attenzione dai contadini prima dell’inverno, perché, se allegava molte bacche , era presagio di grande freddo.
Un tempo le siepi di biancospino erano numerosissime e caratterizzavano tutto il paesaggio agrario, ma ormai ,specie in pianura,sono scomparse. La moderna agricoltura non tollera più le siepi che fanno ombra ,occupano spazio, ostacolano i lavori ,rendono difficoltose le pulizie con mezzi meccanici di fossi e canali e ospitano parassiti dannosi alle colture.
Nei tempi passati, invece, le siepi fornivano legname da ardere, davano rifugio e nutrimento a numerosi uccelli come merli e tordi che si cibavano delle sue bacche rosse,svolgevano azione di frangivento e di consolidamento del suolo e degli argini .
In un inventario del 1905 della Tenuta Torlonia a San Mauro, è ben descritto il grande utilizzo che un tempo si faceva di queste siepi di biancospino.
Il grande parco di tre ettari e mezzo che circondava il Palazzo Nobile era tutto delimitato da una siepe viva di biancospino regolarmente potata, così come per tutte le aie e le case coloniche di ciascuno degli oltre 140 poderi.
Le strade pubbliche e private che intersecavano la Tenuta e che si snodavano per un totale di 83 km.
erano anch’esse fiancheggiate da siepi di biancospino potate a guisa di spalliera, tenute obbligatoriamente in ordine dai mezzadri dei tanti poderi.
Naturalmente una volta queste siepi alimentavano anche molte credenze e paure nei viandanti notturni: si diceva che in certe macchie “si sentivano” voci o rumori strani , che qualcuno aveva visto luci tremolare e loschi figuri,e,soprattutto nelle notti senza luna solo i più coraggiosi si avventuravano da soli per le strade isolate della campagna e sempre guardandosi dubbiosi alle spalle ,attenti al più piccolo rumore….
G.
mercoledì 5 maggio 2010
Maggio
" MAZ de col long" dicevano i contadini, perchè dopo troppo tempo di inattività bisognava subito buttarsi in un lavoro frettoloso e continuo. E i lavori erano parecchi, come ha ben raccontato la Giovanna. Va bene che il primo giorno di Maggio era già festa! Ma era,allora, una festa non delle solite, per cui c'era fiera, o mercato. E così in campagna si lavorava ugualmente, magari ripetendo a memoria, chi li sapeva, qualche versetto della famosa zirudela di Giustiniano Villa, di cui la Giovanna ha già parlato, ma di cui io ripeto un versetto: " Oh che spavent! Oh che teror // Che e' prem dè 'd Maz l'à mes ti sgnour!!!" Ma, bene o no, dopo l'1 di Maggio c'era poi il 3,festa di Santa Croce. La mattina presto, quel giorno, l'Arzdor con qualche figlio andava a mettere le croci grandi ed anche le crocine piccole nei campi. Di questo ci ha dato notizia anche ELEONORA, che, però, non si decide di entrare di persona in questo nostro BLOG.Eramo importanti quelle CROCI nei campi, perchè tenevano lontani i guai, come la tempesta, i temporali, la grandine ed altre cose nocive. E questa era la prima cosa che si faceva il giorno della festa di Santa Croce. Il resto lo raccontiamo PROSSIMAMENTE, non in questo cinema, come una volta si diceva, ma ora val la pena dire "in questo Blog." GBM
martedì 4 maggio 2010
I lavori di Maggio.
In maggio, nella campagna di una volta, cominciavano i grandi lavori.
Si zappava e rincalzava il granoturco,si toglievano le erbacce tra le barbabietole , si eliminavano i papaveri e le erbe infestanti tra il grano e si sarchiava la terra tra le varie colture e nell’orto .
Per qualcuno era anche il mese nel quale piantare un nuovo canneto , indispensabile un tempo in ogni podere per fornire canne per recinzioni ,per sostenere le viti,i pomodori,piselli ecc.
Poi bisognava incominciare a dare il solfato di rame alle viti: lo facevano gli uomini con le pompe a mano ,mentre alle donne toccava andare avanti e indietro lungo le “piantate” portando l’acqua solfata con i recipienti sulle spalle.
Spesso tutto il lavoro veniva vanificato perché si metteva a piovere e allora bisognava rifare tutto , perché se le viti si ammalavano erano grossi guai e non si poteva correre questo rischio.
In maggio ,per le donne, fino alla seconda guerra mondiale, il lavoro più impegnativo era l’allevamento dei bachi da seta : un mese e mezzo di costante cura e nutrizione che per fortuna, se non sopravvenivano malattie, dava un reddito aggiuntivo più che discreto.
Ai primi di maggio, inoltre ,si faceva il primo taglio del fieno , che, per lungo tempo ,è stato fatto a mano con “e’fèr“, la grande falce fienaia dal lungo manico di legno.
Nei giorni precedenti, si era già provveduto a “fare il taglio “ alle falci , battendole con il martello su una incudine infilata in un ceppo di legno e infine passando sulla lama la pietra affilatrice.
In questo modo le falci ben manovrate assicuravano un taglio perfetto ,il lavoro filava svelto e i più giovani facevano a gara a chi arrivava prima alla fine del campo.
Un giorno o due dopo, il fieno seccato era pronto per essere rivoltato con le forche ,il sole poi completava l’essicatura e ,dopo essere stato ammucchiato, veniva caricato sul carro e portato a casa al sicuro dalla pioggia.
Quando ero piccola io, il taglio del fieno nei campi si faceva già a macchina, ma ricordo molto bene che il mio nonno , per tagliare l’erba che serviva ai conigli , usava la grande falce a mano e mi piaceva molto guardarlo mentre a piccoli colpi precisi, batteva la lama col martello per affilarla , seduto sotto una spalliera di peri a lato della casa.
In maggio, infine, il grano ha già la spiga formata e ,secondo un proverbio , meglio che non piova ,perché” maz sòtt grèn par tòt” (maggio asciutto ,grano per tutti), mentre qualcuno dice anche “ maz sòtt, ma non tòt” (maggio asciutto, ma non tutto).
G.
sabato 1 maggio 2010
CALENDIMAGGIO
Il primo maggio è la festa mondiale dei lavoratori, istituita dall’Internazionale Socialista nel 1889 in memoria delle vittime degli scioperi che si tennero a Chicago nel 1886, dove si dimostrava per ottenere la giornata lavorativa di otto ore.
Ma questo giorno era festeggiato ancora prima in tutta Europa : i riti del Calendimaggio erano incentrati sulla forza rigeneratrice del Cosmo , simboleggiato da un grande albero, che rappresenta la forza vitale , la fortuna, la salute e la fecondità.
Nella civiltà contadina di un tempo , propiziarsi la natura era indispensabile ,e, senza scomodare i Celti, che festeggiavano questo giorno come l’inizio della “stagione chiara”, anche le nostre genti avevano canti e riti di buon auspicio, per festeggiare l’inizio di un nuovo ciclo stagionale e la rinascita della vegetazione.
Al centro di tutto dunque l’albero , che veniva eretto nelle piazze dei paesi, mentre frasche e rami fioriti si ponevano alle porte e alle finestre,e, in certe zone anche nei campi, per tenere lontane le formiche e gli insetti dannosi per le colture.
Nella notte d’ingresso di maggio, o al mattino presto dello stesso giorno, era usanza “piantare il maggio” e “cantare il maggio”:cioè ornare con rami fioriti la porta o la finestra dell’amata ,cantare serenate sotto la sua casa o canti rituali e chiassosi anche in giro per le vie e le campagne.
Nel mio paese, a S. Mauro, la tradizione di” portare il maggio” alla morosa con un ramo fiorito di biancospino si è mantenuta fino agli anni “50, così come quella della “piòpa”, il pioppo piantato in piazza, sul quale,essendo un paese di appassionati comunisti, legavano in cima la bandiera rossa.
Erano feste profane , sopravvivenza di riti arcaici per augurarsi fortuna e buoni raccolti .
Ma il profano va spesso a braccetto col sacro, tanto che il 3 maggio, per Santa Croce, i contadini intrecciano piccole croci con i rametti di olivo benedetto e le vanno a piantare in mezzo ai campi o a legare alle viti per scongiurare “la tempesta”, la grandine , il flagello da sempre più temuto nella campagna.
Come a dire....proviamole tutte,non si sa mai.....!
G.
Ma questo giorno era festeggiato ancora prima in tutta Europa : i riti del Calendimaggio erano incentrati sulla forza rigeneratrice del Cosmo , simboleggiato da un grande albero, che rappresenta la forza vitale , la fortuna, la salute e la fecondità.
Nella civiltà contadina di un tempo , propiziarsi la natura era indispensabile ,e, senza scomodare i Celti, che festeggiavano questo giorno come l’inizio della “stagione chiara”, anche le nostre genti avevano canti e riti di buon auspicio, per festeggiare l’inizio di un nuovo ciclo stagionale e la rinascita della vegetazione.
Al centro di tutto dunque l’albero , che veniva eretto nelle piazze dei paesi, mentre frasche e rami fioriti si ponevano alle porte e alle finestre,e, in certe zone anche nei campi, per tenere lontane le formiche e gli insetti dannosi per le colture.
Nella notte d’ingresso di maggio, o al mattino presto dello stesso giorno, era usanza “piantare il maggio” e “cantare il maggio”:cioè ornare con rami fioriti la porta o la finestra dell’amata ,cantare serenate sotto la sua casa o canti rituali e chiassosi anche in giro per le vie e le campagne.
Nel mio paese, a S. Mauro, la tradizione di” portare il maggio” alla morosa con un ramo fiorito di biancospino si è mantenuta fino agli anni “50, così come quella della “piòpa”, il pioppo piantato in piazza, sul quale,essendo un paese di appassionati comunisti, legavano in cima la bandiera rossa.
Erano feste profane , sopravvivenza di riti arcaici per augurarsi fortuna e buoni raccolti .
Ma il profano va spesso a braccetto col sacro, tanto che il 3 maggio, per Santa Croce, i contadini intrecciano piccole croci con i rametti di olivo benedetto e le vanno a piantare in mezzo ai campi o a legare alle viti per scongiurare “la tempesta”, la grandine , il flagello da sempre più temuto nella campagna.
Come a dire....proviamole tutte,non si sa mai.....!
G.