mercoledì 4 agosto 2010

Agosto: il taglio della canapa.



I primi giorni d’agosto ,nella campagna di appena ieri,e cioè fino al primo decennio dopo la seconda guerra mondiale, un tempo erano dedicati al taglio della canapa, al massimo si poteva arrivava al 10, San Lorenzo, non di più.
La coltivazione e la lavorazione della canapa richiedeva ai contadini grande fatica e un forte impegno di mano d’opera ma era molto redditizia, data la sua elevatissima resa per tornatura.
Si cominciava con la falciatura e una volta tagliata si lasciava nei campi raccolta in mannelle legate in cima e in posizione verticale una contro l’altra.
Poi si tornava nei campi ,si sbattevano le mannelle con forza per far cadere le foglie ,si facevano dei fasci di venticinque, ventotto mannelle ,si caricavano sui carri e si portavano fino all’aia, in attesa del trasporto ai maceri.
I maceri generalmente erano situati nei pressi di fiumi e canali ,alimentati dalle loro acque e alcuni molto grandi potevano contenere enormi quantità di fasci ; molti invece mettevano la canapa a macerare nel corso stesso dei fiumi ,come accadeva nel nostro territorio dove l’Uso e il Rio Salto formavano un tempo gorghi profondi adatti allo scopo.
Nel macero la canapa doveva rimanere a mollo per due settimane poi si riportava sull’aia e si stendevano i fasci a ventaglio per farli asciugare in attesa dei “Macadèur dla canva” che la pestavano con un palo d’olmo per separare la scorza dalla parte fibrosa , che poi deve essere “Gramata”.
Qualcuno possedeva una grama di suo,ma di solito la gramolatura veniva fatta da uomini che passavano di casa in casa con la “Grama” , una specie di pesante cavalletto con un’asta con manico che sollevata e abbassata ritmicamente liberava la canapa grezza dai residui legnosi.
Dopo questo trattamento, la canapa diveniva morbida e fioccosa ed era pronta per l’arrivo dei canapini che la passavano con appositi “pettini” e la dividevano in “Stòpa,stuparèina ,legul e fiòur” .Con la stoppa si facevano corde e tela per i sacchi, con la stupareina e legul, uniti a cotone o lino, si tessevano tele per lenzuola, rigatino per vestiti e altre telerie mentre il fiore si usava per la biancheria più fine.
I canapini lasciavano tutti i tipi di canapa divisa in matasse ,“la gavètla”,e ogni matassa si faceva bollire in acqua e cenere e sciacquata in acqua corrente ,ripetendo il procedimento più volte fino alla completa sbiancatura .
Un lavoro lunghissimo e paziente quello della canapa, prima di essere pronta finalmente per la tessitura e per formare il corredo di ogni ragazza che si rispetti della campagna di appena ieri.

6 commenti:

  1. Che belle storie che ho letto a tal proposito, anche sul libro di Maria Cristina Muccioli! Certo che prima era una gran fatica lavorare la canapa, ma alla fine, avere un bel corredo doveva significare una grande soddisfazione e un vero patrimonio! ;)

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  2. Eh si ,la vita tutta era abbastanza faticosa una volta, per questo ,in ricordo dei nostri vecchi, cerchiamo di mantenerne la memoria.
    Ciao,Danda...

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  3. Pochi ricordano oggi chi fossero i funai, i canapini, le retare. E per conoscerli non é sufficiente raccontare che furono produttori di corde e reti di canapa, che il settore economico della produzione dei manufatti di canapa rappresentò un comparto rilevante dell'intera economia delle comunità marittime comprese tra Portorecanati e San Benedetto del Tronto, come dire tutta la zona costiera delle province di Macerata ed Ascoli Piceno dedita alla pesca. I manipolatori della canapa lavoravano a terra, sulle rive, ma l'ambiente del loro lavoro era il mare. I canapini preparavano la materia prima, cioé la canapa, che i funai trasformavano in corde o meglio in cime, drizze, gomene, sartie, cavi usati dai marinai sulle imbarcazioni o in spago che le retare a loro volta cucivano in reti usate dai pescatori. (CONTINUA)

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  4. Il lavoro del canapino era estremamente faticoso e l'ambiente di lavoro dei peggiori. I canapini, chiusi in una stanza, respiravano polvere di canapa, al caldo umido dell'estate e al freddo dell'inverno. I funai,invece, per ricavare spago dalla canapa, dovevano percorrere quotidianamente dei chilometri, andando su e giù lungo il sentiero di produzione dello spago, il cosiddetto "sentiero dei funai" una sorta di camminamento lungo trentatrè metri. In pratica il funaio doveva avvolgere i fili della canapa in modo perfettamente uniforme e costante mentre andava da un estremo ad un altro di un percorso fisso e stabilito, arrotolando lo spago man mano così ottenuto attorno ad una ruota.Infine le retare, difronte alle loro basse case, intrecciavano le reti con un occhio ai bambini.
    Vale la pena di ricordare, a chi non lo sapesse, che la fibra tessile veniva importata dal più grande comprensorio di canapicultura sito nella pianura emiliana tra Bologna e Ferrara. La fibra lavorata quindi nelle Marche, proveniva da questa zona e veniva detta la fibra degli "uomini della pianura", mezzadri costretti sotto un pesante giogo colonico da cui si liberarono, in parte, con l'introduzione di strumenti di lavoro meccanizzati.

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  5. come dice Danda, ho fatto anch'io delle ricerche sull'argomento, incuriosita dai torselli che la mamma mi aveva regalato. Quando le chiesi di raccontarmi come li aveva fatti, iniziò dicendo: "Ah, l'è una storia longa, burdèla!"

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  6. Ho dato un'occhiata al tuo blog, Cristella e ho letto il pezzo sulla tessitura e i suoi usi: molto istruttivo e alcune cose non le conoscevo.
    Avevo in mente di parlarne anch'io ma non certo in modo così preciso come hai fatto tu.
    Comunque è vero, è veramente una lunga storia....

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