mercoledì 27 ottobre 2010
le dolci giuggiole
La pianta del giuggiolo in passato era molto coltivata e nelle nostre campagne romagnole ne rimangono vecchi e splendidi esemplari , posti a ridosso di muri e di ruderi, conferendo a questi luoghi un fascino particolare.
Il giuggiolo è stato introdotto in Italia dal Medio Oriente per opera del console romano Sesto Papinio , all’epoca dell’Impero di Augusto.
Ma la sua terra d’origine è la Cina, dove ancora oggi le giuggiole costituiscono un importante ingrediente per la lavorazione di pani , dolci e bevande.
Specie rustica ed estremamente frugale,, di facilissima coltura , si adatta a tutti i terreni , anche sabbiosi e calcarei ; va posta a dimora in pieno sole , al riparo dai venti di tramontana, possibilmente ,come si fa da sempre, a ridosso dei muri.
L’unico inconveniente ,se vogliamo ,è di essere pianta spinosissima .
È molto longevo ma di crescita estremamente lenta, occorrono ben più di dieci anni dall’impianto prima che dia frutti,ed è per questo che presso i vivai il costo di un esemplare adulto raggiunge prezzi elevati. Attualmente però esistono in commercio varietà a frutti grossi che entrano in produzione in un tempo relativamente breve.
Il suo legno è durissimo ma di scarso impiego, in quanto assai raramente il tronco raggiunge le dimensioni adatte per una qualche utilizzazione .Però un tempo nelle campagne veniva usato per costruire piccoli strumenti musicali a fiato; vale la pena citare il Pascoli che in una sua poesia dice: “ Festoso strepito de’ flauti di giuggiolo”.
Le giuggiole,dalla polpa biancastra e zuccherina,hanno un elevato contenuto di proteine, zuccheri,vitamine e notevoli proprietà medicinali ,lenitive, emollienti e antinfiammatorie ;se ne fanno marmellate,conserve e sciroppi
Malgrado ciò,sono diventate in molti modi proverbiali sinonimo di cosa di poco conto come per esempio:“ E’ un lavoro impegnativo,altro che giuggiole!”,oppure: “E’un giuggiolone”, si dice quando uno è considerato un po’ingenuo.
Eppure dalle giuggiole qualcosa si ricavava anche una volta, se nel registro dare-avere della Tenuta Torre dei Torlonia del settembre 1847 ,redatto all’epoca dall’amministratore Giovanni Pascoli, prozio del Poeta,possiamo leggere :“ Ricavati da giuggiole raccolte nel cortile del Palazzo e vendute a diversi lire 1,25”.
E non è nemmeno poco, visto che la biada per i cavalli del fattore, comprata a Rimini ,per lo stesso mese di settembre,è costata lire 1,20.
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Una curiosità che ho scoperto: Le giuggiole, secondo la tradizione, andrebbero raccolte il 29 settembre – San Michele – come consiglia il proverbio: Par San Michél,/ la zôzla ‘te panir (Per San Michele,/ la giuggiola nel paniere).
RispondiEliminaOltre ad essere mangiate così, appena colte dall'albero, sono utilizzate anche per la preparazione del famoso "brodo di giuggiole".
Esiste addirittura una ricetta che ci viene tramandata dai Gonzaga dove il brodo di giuggiole era utilizzato per intingere i biscotti secchi.
Per quest’ultima ricetta occorrono un chilo di giuggiole appassite e snocciolate mediante una sbollentata; un cotogno, un limone, 300 g. di zucchero, 300 g. di chicchi di uva bianca e vino della stessa uva o comunque bianco.
Mettere in un pentola le giuggiole, la scorza del limone, l’uva e il cotogno sbucciato e tagliato a pezzetti, aggiungendo acqua fino a ricoprire il tutto.
Far bollire una decina di minuti, passare il tutto e rimettere in pentola aggiungendo lo zucchero. Far bollire per circa un’ora, fino ad ottenere una sorta di sciroppo aggiungendo la necessaria quantità di vino e quindi invasare.