sabato 18 giugno 2011

Il solstizio e la festa di San Giovanni Battista



Giugno è il mese del Solstizio d’estate, quando il dì è più lungo della notte.
Il Solstizio d’Estate è stato un giorno dell’anno importantissimo per tutte le civiltà del passato: è il giorno di massima luce solare e per questo è rimasto nell’immaginario popolare un giorno “magico”, accompagnato da strane apparizioni, come folletti, maghi e streghe .
Le feste solstiziali hanno il loro culmine il 24 giugno , giorno nel quale il sole, “Lucerna del mondo”, come lo definisce Dante, inizia a declinare.
Il 24 giugno cade la festa di San Giovanni Battista, 6 mesi esatti dopo la prima grande festa cristiana del natale di Gesù, che segna l’altro solstizio, quello invernale.
Questo giorno, che gli inglesi chiamano “Midsummerday”,giorno di mezza estate,è il giorno propizio alla raccolta delle erbe dalle proprietà curative e salutari ,come se in questo giorno potesse confluire la massima potenza del Sole, fonte di calore e vita.
Un tempo, durante la notte di San Giovanni ,si pensava che le streghe si dessero convegno per i loro orrendi propositi ,e, nelle campagne, si cercava di evitare di incontrare qualcuna di queste sconsiderate e si mettevano in atto scongiuri perché non entrassero in casa.
Il rimedio più sicuro ,era mettersi in tasca o all’occhiello o davanti all’uscio,le cosiddette “Erbe di San Giovanni”, come l’iperico, la ruta, l’aglio e l’artemisia.
L’iperico,soprannominato anche “cacciadiavoli” è l’erba di San Giovanni per antonomasia.
Ma soprattutto la notte di San Giovanni è favorevole per la raccolta delle erbe della buona salute, come la salvia e tutte le mente,, che, insieme all’alloro giovanneo,combattono influenza e mal di pancia dei bambini.
A questa magica notte è collegato anche un albero dal cui frutto si ricava un liquore tipico della pianura Padana: il nocino.
Secondo la tradizione , le noci si staccano ancora verdi e si tagliano con una falce o una lama di legno, mai di metallo, così che l’infuso possa conservare le sue proprietà magiche e digestive.

mercoledì 15 giugno 2011

La mietitura a mano.



La mietitura del grano ,molti anni fa,era un lavoro che durava dieci-quindici giorni, e prima di iniziare i lavori, se c’erano nubi, aspettavano finchè non si fossero sciolte.
In quei giorni si trasformavano tutti in esperti di meteorologia e ognuno diceva la sua: chi guardava i piccioni se tornavano tardi alla colombaia, se l’usignolo cantava tutta la notte, o se i passeri erano più chiassosi del solito e le rane si tuffavano nei fossi , tutti segnali di pioggia imminente.
Inoltre , per scaramanzia, non si cominciava mai a mietere di venerdì, ma ,se si poteva, il giorno propizio alla buona sorte era il sabato.
Per san Giovanni, 24 giugno, si diceva che il grano si poteva mietere anche se non era secco, perché era maturo.
A mano a mano che si mieteva , aumentava il numero dei covoni, che molti lasciavano nel campo perché dicevano che erano più sicuri che nel “barco”, nella bica, e li portavano a casa col biroccio poco prima di trebbiare
Durante la mietitura tutti i componenti della famiglia lavoravano il più possibile, da buio a buio, per spendere meno in manodopera esterna, magari con l’aiuto di qualche parente o vicino,a cui ricambiare il favore con del grano a fine raccolto.
Molte famiglie, nel periodo della mietitura non guardavano all’economia: il primo spuntino si faceva verso le 6 di mattina, dopo un’ora o due di lavoro,a base di pane,salame e formaggio.
Poi verso le 9 c ‘era la colazione vera e propria, portata dall’”arzdòra” nel campo dove si lavorava. Di solito era una frittata , o pancetta fritta condita con l’aceto , qualche fetta di formaggio, pane a volontà e vino del migliore con acqua fresca del pozzo.
A mezzogiorno invece si tornava a casa per mangiare a tavola e dopo si faceva un pisolino di mezz’ora , all’ombra di un pagliaio o di una pianta , e poi via fino a sera, nel caldo e nella polvere.
E intanto che si lavorava si buttava sempre un occhio al cielo, e si badava che non nascessero nubi verso il “malcantòun”, da dove potevano venire temporali con pioggia e grandine.
In questo caso , a sera,dopo cena ,aspettavano il canto del gallo, che” se e’ chènta e’ gal dop zèna, quand l’è nòval u s’arserena”.

venerdì 10 giugno 2011

"Odorata ginestra"....


E' il tempo della fioritura esuberante della ginestra.
Pianta rustica,cresce bene anche su terreni secchi e pietrosi.
Un pregio ,questo ,che potrebbe convincere molti a piantarla nei giardini di città, dove d'estate è difficoltoso e dispersivo innaffiare con l'acqua delle condutture pubbliche.
...e ora quattro versi della famosa poesia che Leopardi dedica a questa pianta spartana, l'ultima che compose in sua vita.

Odorata ginestra,
Contenta dei deserti.Anco ti vidi
De' tuoi steli abbellire l'erme contrade
Che cingon lle cittade....

martedì 7 giugno 2011

il grillo canterino...


Già dalla tarda primavera, nelle campagne di Romagna erano molti questi animaletti che al fresco serale facevano sentire il loro “cri-cri” squillante che durava fino a notte fonda e a volte fino all’alba.
Nel mese di maggio, nei campi dopo il taglio del primo fieno,o sulle carraie ,o sulle rive dei fossi, dove il terreno restava non lavorato, i grilli facevano le loro tane a volte anche profonde.
"E’ grèl marièn", il grillo mariano, forse chiamato così per via che cominciava a cantare nel mese dedicato a Maria,a volte si riusciva a vederlo quando usciva dalla tana e vi rientrava al minimo rumore.
Molti li catturavano per tenerli in gabbia e regalarli ai bambini ,che si divertivano a sentire il loro “cri-cri”così vicino.
Chi era un buon scrutatore, poco prima che calasse il sole, nel fresco della sera , si metteva in orecchio a seguine il canto ,e piano piano silenziosamente,si avvicinava cercando il nascondiglio, spesso costruito sotto un cespo di foglie.
Poi la mattina o durante il giorno , quando il grillo dormiva,prendevano una bottiglia d’acqua e la spruzzavano nel cunicolo ,in modo che il povero insetto era costretto ad uscire insonnolito e bagnato .
Allora lo acchiappavano velocemente e lo chiudevano nella gabbietta di cinque centimetri per cinque,alta dieci, fatta di fil di ferro o rametti di erba , con dentro una foglia di insalata.
I grilli prigionieri però venivano quasi sempre liberati dopo pochi giorni, perché altrimenti potevano morire e sarebbe stata una disgrazia, dato che per molte famiglie romagnole guai a uccidere un grillo in casa o anche solo scacciarlo: infatti un tempo era presagio di grande fortuna se un grillo entrava a cantare nelle loro abitazioni.

sabato 4 giugno 2011

"Bel lucciolaio, bel granaio".


Le lucciole arrivavano da metà maggio –primi di giugno, e i contadini le aspettavano fiduciosi, perché secondo se erano poche o tante pronosticavano :” Se le lucciole vengono in molte, si avrà buon raccolto, se invece vengono in poche, il raccolto sarà scarso”.
Era una credenza che derivava dal proverbio che , prima che i pesticidi eliminassero quasi del tutto le lucciole, diceva;” Bel lucciolaio, bel granaio”.
Ai bambini , affascinati dalle lucine che vagavano nella notte sui campi, si raccontava che le lucciole erano degli animaletti fatati venuti “ Per fè e’ lòm me grèn “, per fare lume al grano che stava maturando.
Alcuni bambini le rincorrevano e riuscivano a prenderne qualcuna, che poi tenevano in mano o mettevano per qualche minuto sotto un bicchiere rovesciato per poter osservare la loro piccola fiammella, pieni di meraviglia.

E cantavano :
Lozzla, lozzla, cala cala
Met la breja a la cavala
La cavala la j’è de rè
Lozzla lozzla, vèn da mè.

Chi ha avuto la fortuna di vedere le lucciole quando ancora ce n’erano tante sa che era uno spettacolo da rimanere incantati,….adesso se si riesce a vederne tre o quattro tutte in una volta, come è capitato a me qualche sera fa ,e per di più in un giardino fra le case del paese, è già una grande sorpresa.

mercoledì 1 giugno 2011

La conserva di pomodori di una volta.



Ormai andiamo verso l’estate e si apre la stagione d’oro dei pomodori, quelli che maturano al nostro sole, nel nostro orto di casa.
I pomodori, rossi e polposi , sono sempre stati un ingrediente base della nostra cucina romagnola , indispensabili per i ragù della domenica , per i sughi di brodetti ,umidi, zuppe, o da fare “in gratè”…..accanto a cipolle e melanzane.
E per conservare il sapore e il colore dei pomodori per tutto l’anno e per il lungo inverno, anche una volta, ,in campagna, le nostre nonne preparavano la loro conserva di pomodori.
Ci si approvvigionava di un buon quantitativo di pomodori belli ,sani e maturi, che si lavavano e si tagliavano a pezzi.
Questi venivano messi in un grande caldaio o in un mastello ,che spesso era quello del bucato, a bollire su fuoco basso piano piano ,coperti con un telo.
Si lasciavano i pomodori a cuocere lentamente per far perdere gran parte dei liquidi, poi si toglievano dal fuoco e si lasciavano a raffreddare e a macerare per tutta la notte.
Il mattino dopo si passava il tutto al setaccio per togliere le bucce , la polpa densa si metteva in sacchetti puliti di tela bianca e questi allineati su un’asse inclinata con sopra pesi o mattoni che servivano a farne uscire l’acqua.
Alla fine si otteneva una conserva ben soda e asciutta, che si conservava a lungo in recipienti di terracotta mantenuti in cantina o in un luogo fresco e arieggiato , dove se ne sarebbe preso quel tanto che serviva giorno per giorno per dare colore e sapore alla modesta cucina che usava un tempo nella campagna di appena ieri.