lunedì 24 ottobre 2011

Nessuno fischietta più !?



Una volta era facilissimo imbattersi in gente che fischiettava.
Un tempo, specialmente in campagna, fischiare era un’abitudine comunissima: si fischiettava mentre si zappava, si potava, si mungeva e mentre si facevano tutti i lavori nei campi.
Anche i birocciai erano soliti fischiare motivetti mentre sedevano sui loro carri tirati dalle bestie,soprattutto di notte, per tenersi svegli e rompere il silenzio .
Naturalmente era roba da uomini, per le donne fischiare era considerata una cosa disdicevole e indecorosa, una dimostrazione quasi di sfacciataggine….
In fondo fischiare è un fatto personale, spontaneo,libero,più di cantare: è un suono intimo , che risuona nella testa, che fa evadere, dimenticare.
Fischiare è un atto che si fa per se stessi e ha in se molta creatività.
Oggi invece quasi nessuno fischietta più , nemmeno per strada, nemmeno quando passeggiano o se ne vanno girelloni in bicicletta.
Forse , come ho letto in un articolo in proposito questa settimana, c’è troppo rumore, troppa frenesia, oppure semplicemente se ne è persa l’abitudine, come se ne sono perse tante altre…..
E a proposito di fischiettare ,come non citare la strofa finale della poesia di Carducci, San Martino, che oltretutto è anche in tema di stagione?

…..sta il cacciator fischiando,
su l’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi,
stormi d’uccelli neri
com’esuli pensieri
nel vespero migrar.

lunedì 17 ottobre 2011

La caccia.


Una volta i contadini erano in buona parte cacciatori, e non certo per passatempo, ma per interesse: la maggior parte di cacciagione, infatti, veniva venduta per acquistare altri prodotti e solo chi aveva buone possibilità economiche lasciava gli uccelletti nella cucina di casa.
A caccia vi andavano la mattina presto,col cane o senza ,ognuno aveva i suoi posti dove sperava di trovare dei volatili, oppure costruivano un capanno di frasche nei pressi di boschetti di querce e lì aspettavano pazientemente …
Sparavano ai passeri ,ai franzoni,ai tordi, alle beccacce…a tutti quelli che passavano ;in certe mattine buone ne facevano delle belle “ruzèdi”, cioè delle lunghe filze , che poi vendevano alle osterie , tranne qualcuno da portare a casa .
La vendita degli uccelli era un buon ricavo durante i mesi invernali , quando non c’erano prodotti da vendere di altro genere , e c’era un mercato vivacissimo di selvaggina, perché anche chi non andava a caccia non voleva rinunciare al suo tegame di uccelletti.

Ricetta contadina degli uccelletti al tegame.
Spennare bene e pulire gli uccelletti delle interiora e al posto di queste mettere una foglia di salvia.
Disporli in un tegame preferibilmente di coccio con un po’ d’olio, sale, pepe,e un po’ d’acqua.
Rosolare girandoli spesso e verso fine cottura aggiungere un mezzo bicchiere di vino bianco da far evaporare.
Vanno serviti ben rosolati e una volta si mangiavano afferrandoli per il becco e solo quello doveva rimanere.
Per alcuni addirittura era un sacrilegio sviscerarli ….infatti i vecchi capannisti e tutti i buongustai di un tempo si sarebbero scandalizzati di fronte ad uccelletti “privati delle interiora”, perché molti di loro cuocevano allo spiedo anche i tordi interi!

lunedì 10 ottobre 2011

Tempo di castagne


Ottobre si sa, è il mese delle castagne.
Una volta il castagno era un albero benedetto per i contadini delle colline, e, nelle zone dei castagneti ,tutta la popolazione era mobilitata per la raccolta.
Inoltre questo albero, come ci ricorda il Pascoli nella poesia “Il castagno”, non è solo generoso dei suoi frutti ,ma un tempo le sue foglie venivano conservate e usate come lettiera nelle stalle invece della paglia e il suo legno veniva raccolto per scaldare le case ,per farne cesti o mobili rustici.
Tra i più comuni modi di cuocere le castagne ricordiamo le “pelate”, castagne sbucciate e cotte in pochissima acqua coperte da un telo ; le “ballotte “,lessate in acqua leggermente salata e,per chi piace, con l’aggiunta di semi di finocchio;infine le “caldarroste” simbolo di festa, di ritrovo e allegria durante le fiere, le sagre e le lunghe veglie invernali , ieri come ancora oggi…..
Molto buona è anche la marmellata di castagne:
Cuocere dei marroni sbucciati e passarli al passaverdure.
Mettere al fuoco in una pentola 700 gr. di zucchero e farlo sciogliere con un bicchiere d’acqua lasciando sobbollire 5 minuti, aggiungere 1 kg. di polpa di castagne e odore di vaniglia.
Cuocere il tutto a fuoco lento mescolando spesso per circa 30-40 minuti ,aggiungere alla fine un bicchierino di rhum e poi invasare.
Chiudere i barattoli e capovolgerli per sterilizzare il coperchio, lasciandoli in questa posizione per almeno 5 minuti.

venerdì 7 ottobre 2011

La Saba e il Savòur


L’uva non solo diventa vino,ma con il mosto si possono preparare ancora oggi dei prodotti capaci di vincere il tempo e di arricchire la nostra dispensa.
Con il succo d’uva non fermentato , il mosto, nei secoli si è perpetuata un po’ ovunque l’usanza di farne salse e mostarde per condimento a varie pietanze.
Uno di questi preparati è la Saba, o Sapa che dir si voglia .
Si ottiene mettendo in una grande recipiente 10 litri di mosto fresco e tenendolo a sobbollire a fuoco basso per parecchie ore, finchè si riduce a un quarto del volume iniziale.
Se ne ottiene uno sciroppo zuccherino che ,messo nelle bottiglie ben chiuse ermeticamente, può durare per più anni senza perdere le sue qualità.
Stesso procedimento per il Savòur ,dove al mosto fresco si aggiungono pezzi di frutta duretta come mele, pere, cotogne, noci e fichi tritati e un po’di buccia grattugiata di limone e arancia: poi si fa cuocere il tutto piano piano per 4-5 ore .
Alla fine se ne ricava una specie di confettura che accompagna ottimamente il bollito e i formaggi o si mangia stesa sul pane.
Sono preparazioni che ormai nessuno fa più in casa, occorre troppo tempo e sono sapori non sempre apprezzati, al massimo se ne compra un vasetto in drogheria per curiosità, ma non è certo come quello che cuocevano le nostre nonne, ognuna gelosa della propria ricetta che passava di madre in figlia.

lunedì 3 ottobre 2011

Tempo di tartufi.


Tempo di tartufi e tempo di fiere e mercati di questo nobile tubero, come la Fiera di sant’Agata Feltria inaugurata in questi giorni.
E appunto questa è l’epoca di raccolta del Tartufo bianco pregiato, il Tuber Magnatum, vale a dire dei magnati, dei ricchi signori ,così come venne definito da Pico nel 1788.
Questo tartufo si riesce a trovarlo dalla tarda estate fino al primo inverno , dalla pianura fino ai 600 metri di altezza sul livello del mare, in terreni con rilevante umidità.
Le piante presso cui riesce ad adattarsi sono la quercia , il tiglio il pioppo nero e bianco il salice da vimini e il carpino nero.
La raccolta del tartufo è libera nei boschi e nei terreni non coltivati, sempre che vengano rispettate le regole che caratterizzano questa attività: l’ausilio di un cane addestrato a questo scopo e l’utilizzo di un apposito attrezzo per lo scavo, limitato alla zona ove il cane lo ha segnalato.
Il tartufo è un prodotto molto deperibile e pertanto è fondamentale un’attenta conservazione.
Il metodo più comune è mettere i tartufi ,avvolti ad uno ad uno in carta da cucina, in un barattolo a chiusura ermetica da tenere in frigorifero:il tartufo nero può mantenersi così per un mese, quello bianco non più di 15 giorni.