martedì 22 novembre 2011

verso l'inverno


Il mese di novembre è il primo mese veramente freddo ,quello che dà inizio al cattivo tempo, alle nebbie e alla pioggia,per cui una volta era una stagione che preoccupava , soprattutto i braccianti, che difficilmente in questo mese trovavano lavoro.
Comunque sia, un proverbio dice: “Giorno bello o giorno brutto, a novembre muore tutto”.
Le giornate cominciavano ad essere buie e nelle case coloniche la luce era scarsa;la candela o la lumina ad olio erano sempre messe accanto al telaio, che d’inverno lavorava a pieno ritmo.
“Da San Martoin a Nadèl ogni purèt e’ stà mèl” dice un altro proverbio, mentre un altro ancora recita: “Par Santa Caterina o che piòv ,o che nòiva, o che broina, o che tira la curòina e u j è la paciaròina”.
Un tempo , nelle campagne, si cominciava a scaldare il letto dal giorno di Santa Caterina -il 25 novembre-, un mese prima di Natale, fino alla fine di febbraio, poveri o benestanti che fossero….
Infatti per i contadini di una volta l’inverno si calcolava da Santa Caterina fino al primo marzo, e in molti paesi della Romagna la festa di Santa Caterina era la festa delle ragazze, alle quali si regalavano castagne e torrone.
Inoltre in questo mese , come durante tutto l’inverno ,dato che si lavorava poco e servivano meno energie,si preparavano solo due pasti al giorno: la colazione a metà mattina, tra le nove e le dieci e la cena verso le cinque di sera…..eccezioni si facevano solo per le feste di Natale e per la settimana di carnevale.
“Novembar e’ trèma tot, dizèmbar e’ spless l’an”…..e dopo dicembre , dopo le feste di Natale, finalmente ci si rallegrava con l’uccisione del maiale, un avvenimento atteso da tutte le famiglie perché si riempiva la dispensa ed era l’occasione per mangiare un po’ di carne, cosa che non succedeva spesso….

lunedì 14 novembre 2011

Da Ginestreto a Massamanente.



La breve valle del torrente Uso, che si inserisce tra le più grandi del fiume Marecchia e del fiume Savio, è ricca di suggestioni ,di splendidi paesaggi e di inimitabili strutture architettoniche.
Da un opuscolo scritto da Fabio Molari, attento testimone della memoria, riporto questo brano che descrive un tratto del sentiero ,sul crinale ,che porta da Ginestreto a Massamanente.

“Partiamo dunque da Ginestreto, il colle delle ginestre,arbusto dalla lunga e intensa fioritura gialla.
Anticamente questo territorio era diviso in due frazioni: Ginestreto propriamente detto e Morsano, raccolto attorno alla vecchia pieve.
L’abbandono quasi totale di questo paesino ha portato alla scomparsa della pieve di San Martino in Morsano ed al crollo di importanti strutture edilizie di origine rurale.
Anche del castello non resta più niente, gli ultimi ruderi furono abbattuti negli anni’40.
Attualmente resta la chiesa dedicata a Sant’Apollinare, una costruzione che risale alla fine del 1700.
Negli ultimi anni questa località è assurta a notorietà nazionale per la presenza di una moderna discarica.
Alle spalle di Ginestreto, in direzione della valle del Marecchia,possiamo osservare il monte Uffogliano, con i suoi castagni secolari, uno dei pochi boschi presenti in zona con una superficie consistente.
Sulla sommità del colle troviamo i resti di un castello e da qui un sentiero porta a Casano,un piccolo mondo di grandi case di pietra, dove domina il silenzio.
Risalendo la parte orografica destra della valle dell’Uso giungiamo a Massamanente, che sul colle Siepi ospita ancora le poche mura del castello malatestiano , di cui resta solo una stanza interrata, forse le prigioni.
Massamanente è una realtà agricola di case sparse in mezzo ai prati più belli di questa Romagna quasi feltresca.
In primavera i grandi campi si colorano di un verde brillante ,che li fa assomigliare ad una piccola Irlanda.
In questa frazione possiamo ricordare la chiesa dedicata a San Paterniano”.
(Nella foto: Chiesa di San Paterniano).

domenica 6 novembre 2011

Pere coscia e mele zitelle.



Nei cataloghi dei vivai dell’ottocento, per descrivere le mele, le pere o l’altra frutta , sembra non si usasse mai l’aggettivo “bello” o “di bel formato” : i requisiti che più interessavano erano la produttività della pianta , il sapore dei frutti ,ma soprattutto la “serbevolezza”, cioè la proprietà di conservarsi a lungo.
Era quello un fattore molto importante, in un mondo ancora privo di celle frigorifere e di congelatori.
Dai primi decenni del novecento, invece, le cose hanno cominciato a cambiare, la bellezza e la pezzatura dei frutti hanno cominciato ad avere sempre più importanza e di scelta in scelta,a forza di scartare certe varietà,siamo giunti a quegli insipidi e perfetti capolavori che oggi appaiono nelle vetrine e sui banchi dei fruttivendoli.
Oggi però si cerca di correre ai ripari , ricercando antiche varietà che ,oltre ad essere quasi sempre più resistenti alle malattie , hanno il merito di farci riscoprire i sapori e i profumi di una volta.
Rintracciare e coltivare nuovamente queste specie è un compito importante , anche per garantire la conservazione di un patrimonio genetico che potrà servire per creare nuovi ibridi più resistenti alle malattie.
Alcune specie si rinvengono spesso in modo occasionale ,veri cimeli di una arcaica agricoltura locale.
Un tempo, soprattutto di mele e pere ,vi erano innumerevoli specie, dai nomi anche stravaganti, come la “Mela pera”, allungata ,acidula ,aromatica e croccante; la “Mela gelata”,che si conservava a lungo per tutto l’inverno; la” Mela zitella”, coltivata in collina e sulle alture; la “Mela limoncella”dal vago sapore di limone.
Fra le pere antiche ricordiamo la “Pera moscadella”, pera estiva,dolce ,dal sapore che ricordava l’uva moscata; la “Pera prosciutto”, piccola pera invernale così chiamata perché di colore rosso mattone,e poi la “Pera butirra” e ancora la “Pera coscia di monaca”…..insomma tutta una lunga serie di frutti che speriamo ci vengano restituiti.

mercoledì 2 novembre 2011

Il fungo orecchione.


Cercare funghi nei boschi è sempre una bella avventura, purchè si sia competenti e si abbia una buona conoscenza delle varie specie , velenose e commestibili.
Invece,una volta, in campagna , i funghi si coltivavano, o per meglio dire, si creava una zona adatta alla loro crescita spontanea .
Quando ero bambina ricordo molto bene mio nonno che preparava con cura una zona apposta per questa coltura, che di solito era lungo il filare di una piantata di vite.
Per prima cosa vangava ben bene il terreno per la profondità della vanga, poi vi spargeva del letame di coniglio misto a parecchia paglia e sopra tutto un certo strato di terra leggera.
Teneva la zona sempre umida e dopo qualche tempo cominciavano a nascere i primi funghi,gli orecchioni,che lui chiamava “urcèli” perché avevano appunto la forma di orecchio.
Ricordo le mangiate di questi funghi che facevamo….specialmente cotti sulla graticola!
E soprattutto senza avere paura che fossero velenosi.