venerdì 15 ottobre 2010

Il pane cotto nel forno a legna.



Nelle campagne romagnole il pane si faceva generalmente una volta la settimana .
Per fare il pane ci volevano farina di grano ben setacciata, acqua, lievito, fatica, fuoco e non faceva male qualche benedizione.
Quando la miseria era più pressante,alla farina di grano si mescolava farina di granturco e in quel caso ne veniva un pane duro e meno gradevole del pane bianco.
I preparativi di solito cominciavano la sera: fin dalla volta precedente si era conservato il lievito madre che veniva sciolto stemperandolo con acqua tiepida e poi impastato con la farina formando una grossa palla piuttosto molle che si lasciava lievitare tutta la notte.
Durante la notte l’impasto cresceva e alla mattina presto lo si aggiungeva a tutta la farina occorrente , aggiungendo altra acqua tiepida e una manciata di sale.
Si amalgamava il tutto e si procedeva a lavorare l’impasto : era la parte più faticosa della lavorazione e quasi tutte le famiglie si aiutavano con la gramola ; una donna azionava la leva e un’altra rimuoveva velocemente la massa che stava lievitando.
Dopo mezz’ora l’impasto era pronto da lavorare nelle forme desiderate.
Le forme preferite un tempo dalle arzdòre erano il filone e la coppia , si doveva lavorare alla svelta perchè la pasta lievitava in fretta ,ma si cercava di dare grazia e simmetria ai pezzi cercando di farli tutti uguali.
Man mano che le forme erano pronte, si allineavano sull’asse adibita all’uso ,si coprivano con un telo bianco e pulito e si aspettava controllando di tanto in tanto il punto della lievitazione.
Intanto il forno era stato acceso, preparato, ed era al giusto punto di calore.
Si portava l’asse davanti alla bocca del forno e con l’apposita pala si mettevano delicatamente i pani sul piano ben spazzato staccandoli con un piccolo e deciso colpetto.
Compiuta l’operazione si chiudeva la bocca del forno segnandone il coperchio con una croce e si aspettava la cottura: il pane assumeva una colorazione dorata mentre intorno iniziava a spandersi il suo caratteristico odore.
Il pane veniva estratto dal forno bello, croccante e profumato e depositato in una grande cesta di vimini per essere poi collocato o su un’asse in cucina o nella credenza con le ante a retina per far passare l’aria e mantenerlo asciutto.
Per una settimana il pane (un pèz ad pèn) era assicurato, perché come dice il proverbio: “Tutti i guai sono guai, ma il guaio senza pane è molto più grosso” .

7 commenti:

  1. Devo ammettere che il pane fatto in casa ha un sapore (ed un profumo) molto diverso da quello industriale... figuriamoci che buono col forno a legna!
    Ora che sto sperimentando a casa il pane con il lievito madre, mi accorgo che c'è un gran lavoro dietro, una gran pazienza e tanta energia!
    Tutte qualità che al giorno d'oggi è difficile saper coltivare, andando sempre di fretta!

    RispondiElimina
  2. Anche io questa mattina ho parlato del mio caro pane che faccio ogni settimana!
    E' bello leggere le tue parole e rispecchiarmi ancora quasi del tutto.
    Amo la tradizione..

    RispondiElimina
  3. Proprio ora il mio pane sta lievitando! Tra mezz'ora sarà pronto per la cottura ... anche se purtroppo non ho il forno a legna e mi devo accontentare del forno elettrico, però ho la pasta madre buonissima!

    RispondiElimina
  4. Che bravi....e che soddisfazione, vero?
    Pensate come doveva essere una volta, in tempo di fame vera, procacciare il pane per la famiglia, una vera felicità.....ci scommetto!

    RispondiElimina
  5. io ho il forno a legna ma nn lo so adoperare mannaggiaaaaaa! o troppo caldo o troppo freddo o troppo caldo sopra! Ci ho rinunciato a fare il pane li dentro! Con l'impasto sono Ok ma la cottura mi riesce solo nel forno elettrico di casa!

    RispondiElimina