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“La vecchia osteria di una volta non era luogo da donne”.
Così inizia l’articolo di Mario Lapucci dal quale attingo queste notizie sulle osterie di paese e di campagna , luoghi ormai scomparsi e ritrovo di soli uomini.
Soltanto le signore di città,quelle svergognate borghesi , osavano andare al caffè o al circolo con i mariti ai quali si permettevano perfino di camminare a fianco per la strada.
L’antica morale contadina e il gallismo della gente di Romagna , imponeva alla donna di stare al suo posto e per strada di camminare un po’ indietro al suo uomo, alla sua sinistra.
Eppure ci sono state in Romagna ostesse famose , immortalate in romanzi e racconti ,ma erano lì soltanto per servire i clienti.
Le osterie di un tempo erano quasi sempre arredate con lunghe tavole affiancate da panche, più raramente si vedevano tavolini e sedie.
L’oste stava dietro al suo bancone ,in fondo alla stanza sempre fumosa , con un grembiule vagamente pulito alla vita intento a versare il vino richiesto nei misurini di vetro o nelle “mezzette piombate” col timbro dell’ufficio metrico.
A fianco teneva lo scaffaletto delle carte da gioco,e faceva i conti col gesso spesso sul piano del bancone , sul quale ogni tanto passava uno straccio, anch’esso poco pulito.
Alcune osterie avevano il gioco delle bocce sotto una pergola ombrosa e i giocatori si sfidavano in epiche partite che avevano come posta regolarmente il litro di vino ,seguiti dagli apprezzamenti o dalle critiche degli spettatori.
In altre si poteva trovare anche da mangiare: cibi semplici , intingoli di coniglio, umidi, trippa, minestre con fagioli o ceci, formaggio e salame, cibi che ben si accompagnavano con un bel bicchiere di vino rosso.
Alla sua stagione non era difficile trovare cocomeri, tenuti in fresco nel pozzo e spaccati sul tavolo con un deciso colpo di coltello.
In queste osterie gli avventori, nel bicchiere di vino , cercavano per lo più una consolazione per i guai della vita, la ricorrente miseria e i litigi in famiglia ; si sfogavano i rancori, si raccontavano i problemi , si facevano interminabili partite a carte, ma si concludevano anche affari e contratti di raccolti e vendite di bestiame.
E se poi capitava il forestiero era anche una buona occasione per avere notizie del mondo.
Allora quando mia moglie si lamenta che cammino troppo veloce e lei deve seguirmi qualche passo indietro, è una sorta di "gallismo romagnolo" o solamente la fretta di interrompere lo shopping che non amo?
RispondiEliminaOlindo Guerrini, a proposito di Ostesse, dice de la Zabariona:
RispondiEliminaBurdell sa n'è savì la Zabariona
La staseva in t'e' borg d'Porta Indariana
E la vindeva la canena bona
Senza sdaziè mai marascon in Dugana
Lì, la puretta, l'era una grassona
Cun un cul ch' e'pareva una capana
E la faza piò tonda ch'n'è la lona
E la sera, a caval d'una scarana,
La surnacieva, porca buzarona,
Cun dal scurezzi baiunetta in cana.
Se si vuole avere un'idea di come fossero le osterie in Romagna appena ieri, vi invito a leggere "L'osteria del gatto parlante" di Francesco Serantini, il più grande e misconosciuto scrittore di Romagna. Leggetelo e ne sarete affascinati, a dir poco. Ve ne trascrivo poche righe. " L'osteria del Gatto parlante sorgeva solitaria, circondata da vecchi ulivi, sul poggio di una valle incassata dove si snodava una mulattiera che costeggiava il torrente traversandolo più volte e che d'inverno diveniva quasi impraticabile. Il torrente segnava il confine tra la Repubblica di San Marino e l'italia...."
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