lunedì 12 luglio 2010
Il raccolto del grano.
Prendo spunto dalla foto di Franco per parlare della mietitura e della trebbiatura del grano di qualche decennio fa.
Oggi enormi macchine, le mietitrebbia, fanno tutto loro e in pochi giorni il grano viene tagliato ,insaccato ,separato dalla paglia legata in grossi rotoli e tutto con poca manodopera e poco sforzo..
Invece, finoa poco tempo fa, la mietitura e la battitura del grano richiedevano un lungo lavoro e la fatica di un numero considerevole di persone.
Lasciamo pure da parte il tempo di quando si mieteva a falce e si batteva a mano e coi buoi:
il taglio a mano è stato abbandonato con l’avvento delle mietilega ,una macchina che falciava il grano e lo legava in mazzi lasciandoli in fila nei campi .
I fasci di grano così legati venivano ammassati formando i covoni, tutti belli allineati e della stessa grandezza, perché anche l’occhio vuole la sua parte e la campagna richiede un qualche senso artistico.
Nei covoni il grano finiva di seccare per bene e quando questo lavoro era terminato, si aggiogavano i buoi al carro grande e si cominciava a trasportare il grano dai campi all’aia, per formare” e’bèrch”,la grande bica che abbisognava del lavoro di parecchie persone.
Io da piccola ho assistito per diversi anni alla costruzione del” barco”: da noi se ne facevano due, perché il podere era molto grande, qualche volta di forma rotonda oppure quadrata,altissimi ,con le spighe all’interno, con i più giovani e forti che si arrampicavano sulle alte scale e con le forche allungavano i fasci legati a quelli che stavano sopra e che dovevano disporli nel modo giusto.
Addirittura , a mano a mano che il barco si alzava, venivano pareggiati con le falci tutti i gambi dei fasci che uscivano fuori squadra , in modo che risultasse il più ordinato possibile e nemmeno una paglia fosse fuori posto.
Fare il barco era una fatica sovrumana e spesso gli uomini delle famiglie vicine collaboravano e poi si ricambiavano l’aiuto a vicenda, ma a volte era necessario ricorrere all’aiuto dei braccianti che non mancavano mai.
E poi si aspettava con ansia il momento della battitura con la “ macchina da bat “, la trebbiatrice a nastro, un cinghione con il quale veniva collegata al trattore .
Ovunque un polverone e un rumore pazzesco,la pula per aria che soffocava e la paglia da ammassare nei pagliai…ma grande soddisfazione per i sacchi di grano che via via gli uomini si caricavano sulla schiena e ammucchiavano sotto il portico.
Poi si divideva la parte di grano che spettava al padrone e si doveva caricarlo sui carri e portarglielo nei magazzini o a casa , e finalmente il lungo e faticoso lavoro del raccolto del grano era terminato .
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Vi dedico una parte di una poesia di Daniel Varujan che inneggia i contadini e il loro lavoro "sacro":
RispondiElimina...Canto i contadini che in cima ai carri
eretti come dèi
col forcone ferocemente distruggono
l’enorme catasta dei covoni.
La trebbiatrice canto, che naviga intorno al raccolto
come su un lago color di fuoco,
e anche il grano turbinante che già
nuota in mezzo alla paglia.
Oh, quanto è dolce confondersi con l’essere
in questo lavoro sacro;
dai sandali fino ai capelli immergersi
nelle polveri gialle dorate....
bellissimo quel cenno alla sacralità del lavoro
RispondiEliminaanna marinelli
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