martedì 27 aprile 2010

L'allevamento dei bachi da seta.

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Una produzione molto importante,in Romagna, che dava buon reddito e che ebbe fortuna fin verso la seconda guerra mondiale, era l’allevamento dei bachi da seta .
In Romagna ,infatti, non c’era quasi casa contadina, o di braccianti o anche di piccoli borghesi dove non vi fosse una camera , magari la più pulita e ventilata,che nella stagione primaverile non ospitasse “è castel di bigàt”.
Le uova dei bachi venivano poste in incubazione a fine aprile, tanto che il proverbio dice : “par S. Mèrc (25 aprile) ,è bigat o chl’è post ochl’è nèd”( per S. Marco, il baco o che è posto o è nato).
Nella nostra zona ci si procurava le uova da certe ditte specializzate di Ascoli Piceno ,che le vendevano in piccole buste bianche ,pesandole ad once.
Quando le uova cominciavano a schiudersi, i piccolissimi vermetti scuri venivano posti in una scatola al caldo e alimentati con tenere foglie di gelso tritate finemente (al foi d’àmour).
Dopo una settimana si trasferivano su graticci ricoperti di foglie di gelso sempre fresche e si attendeva la prima muta delle quattro che si succederanno nei quaranta giorni della durata completa dell’allevamento.
Per ogni muta, momento delicato e seguito con ansia per paura delle malattie , venivano cambiate e ingrandite le lettiere,e alla fine queste formavano un grande castello di fascine con graticci di sei-otto piani.
Quando il ciclo larvale era concluso, tra i graticci si infilavano ulteriori rametti secchi sui quali i bruchi si sistemavano finalmente a filare il loro bozzolo di seta.
A bozzoli completati ,in giugno, si staccavano con delicatezza , si scartavano quelli avariati ( i lùrdèun) e finalmente si portavano ai mercati ,ai “pavaglioni”: quelli più famosi in Romagna erano quelli di Lugo, Forlì e Meldola.
Anche a San Mauro l’allevamento del baco da seta aveva una particolare rilevanza, ed era stato molto incentivato , soprattutto nella tenuta Torlonia ,piantando in ogni podere una grande quantità di gelsi, tanto che all’inizio del 1900, se ne contavano ben 2137.
Nel contratto di mezzadria ,ancora valido fino ai primi del ‘900, un articolo apposito recita che “la foglia del moro è tutta del padrone, il quale potrà cederla al colono per tenere in conto a metà i vermi da seta”.
Lo stesso Comune,inoltre, imponeva agli allevatori l’obbligo di denunciare :”il quantitativo dei bachi e della foglia occorrente al loro nutrimento,nonché gli alberi di gelso disponibili”,pena una approfondita perquisizione domiciliare.
G.

6 commenti:

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  2. Come sempre Giovanna e Massimo sono ricchi di notizie che poi,bravissimi,ce le trascrivono piene di curiosità e memorie di un tempo da poco passato. Spero che anche altri amici ci forniscano qulche altra notizia sull'argomento!
    Intanto,però, dato che oggi è MERCOLEDì - 28 -
    ( Aprile,naturalmente), io ricordo a tutti che si è agli sgoccioli ( di tempo) per inviare le ultime poesie in dialetto (e zirudele) per il Premio di Poesie del Comune di San Clemente.Inviatele, dunque, mettendo a parte il vostro nome,cognome ed indirizzo preciso da inviare a busta chiusa, mentre per le opere inviate basta semplicemente un vostro simbolo,ideato a vostro piacere. Siete,dunque,attesi,che,a San Clemente vi aspettano!!! Ciao a tutti da GBM

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  3. Già da qualche anno raccolgo informazioni varie sull'allevamento del baco da seta in Romagna. L'idea iniziale (sogno nel cassetto) era di proporre un libro simile a quello sulla canapa e la tessitura ("Trama e ordito, mamme che tessono la vita", pubblicato nel 1999). Un po' per pigrizia, un po' perché da queste parti i libri bisogna "pubblicarseli da soli", il materiale è ancora qui, nel cassetto a sinistra della mia scrivania, e in un file. Provo a copia-incollare qualcosa:

    Come in ogni angolo della terra, anche in Romagna i contadini si sono sempre tramandati, di generazione in generazione, una gran quantità di usanze e di credenze, di solito attraverso un linguaggio fatto di favole, canti o proverbi.
    Parole d’ordine per ogni attività, per ciascun momento della giornata o dell’anno: un calendario con scadenze dettate dal pragmatismo proprio di chi dipende dalla terra e dagli eventi della natura, ma anche dalla superstizione. Regole da seguire ed errori da evitare per un calendario (più correttamente, forse, “lunario”) declinato con rime baciate.

    C'era un santo per ogni cosa ed ogni attività. San Giobbe, ad esempio, il patriarca biblico che si ricorda il 10 maggio, chissà per quale motivo è il patrono degli allevatori dei bachi da seta… Se l'allevamento andava male, si dava la colpa al povero santo (Se mel i cavalir i coi andé, quent azident che San Job l'ha da ciapé – Se i bachi andranno a male, quanti accidenti prenderà san Giobbe).
    Un settore, quello della bachicoltura, oggi pressoché scomparso, ma che i più anziani ricordano certamente: sia per le filande, presenti anche nel territorio riminese, sia per le numerose piccole “industrie familiari” presenti quasi in ogni casa contadina fino agli anni Trenta del secolo scorso.

    Par San Zorz se a i punì, i cavalir i ha da fiurì
    Per San Giorgio se ponete le uova, i bachi fioriranno.
    L’allevamento dei bachi da seta (chiamati anche bigat, bighet, cavalir) iniziava a fine aprile, momento in cui “si ponevano” le uova dei vermicelli che poi avrebbero prodotto, se ben allevati, il prezioso filo destinato alle filande. Il tempo più propizio era indicato da altri due santi: san Giorgio (23 aprile) e san Marco (25 aprile).

    San Zorz da e' spnacc, s't'an pon e' cavalir e dventa mat.
    San Giorgio dal pennacchio, se non lo poni, il seme del baco va a male.

    Par san Merch, e' bigat l'è post o ned.
    Per san Marco il baco da seta è posto o nato.

    Per San Marco le bachicultrici andavano in processione tenendo nel seno, ben calde, le uova dei loro bachi, che costituivano “il seme”. Chiamate anche uvadéli, si vendevano misurandole a once. Ogni oncia era costituita da circa 60.000 uova, che dovevano essere conservate nel tepore domestico in attesa della loro schiusa, che richiedeva una temperatura superiore ai 15° C.. Alcuni riponevano la partita delle minuscole uova sotto il materasso del letto. Molte donne mettevano nel seno le uova contenute in un panno e ne facilitavano la schiusa con il calore corporeo

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  4. io ho 36 bachi o piu e li ho messi in una scatola con dei steccini lunghi che chiudono una parte metre l'altra gli ho messo il disotto dello scatolo come posso fare una gabbietta piu grande fra po fanno la muta 2 muta si vede perche sono lucidi

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  5. marco pro loco colli del tronto8 dicembre 2010 alle ore 18:27

    Sono marco da Colli del Tronto, in riferimento a quanto scritto in questo sito segnalo che la Pro Loco di Colli del Tronto ha un museo interamente dedicato al seme bachi, di cui io ne sono il responsabile. Parte del materiale e visibile sul sito www.prolococollidletronto.it . Per ulteriori info scrivere a info@prolococollideltronto.it oppure mcollina2@gmail.com

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