giovedì 8 aprile 2010

Le "zirudèle" di Giustiniano Villa.


Giustiniano Villa, il più famoso poeta dialettale romagnolo, nasce a S. Clemente il 21 settembre 1842 e muore a Rimini il 23 aprile 1919.
Fu poeta e cantastorie, con una rara abilità a mettere in rima ballate e “zirudelle”, proseguendo la tradizione dei “folari”,che fin dai tempi antichi passavano di casa in casa , in inverno ,ospitati per intrattenere le genti nelle lunghe veglie,o si ritrovavano nelle fiere e nei mercati a declamare le loro storie.
A Villa le zirudelle venivano immediate, con grande facilità e altrettanto spontaneamente le recitava con grande spasso degli spettatori nelle piazze del circondario e nelle fiere di città e di campagna.
Queste storie avevano per lo più come sfondo il mondo contadino, rapporti tra padroni e mezzadri ,ma anche temi politici e di denuncia contro le ingiustizie e le sofferenze dei più poveri.
Fondamentale era l’abilità del cantastorie nel declamare le zirudelle ,in quanto più riusciva a coinvolgere il pubblico , più aveva speranza di vendere i componimenti,stampati su fogli volanti ,che la gente si portava poi a casa per leggerli a famigliari e amici.
Il 23 aprile ricorrerà il novantunesimo dalla sua morte e nell’attesa di ricordarlo anche in quell’occasione, anticipiamo una sua zirudella, : essendo molto lunga, ne trascrivo l’inizio, nella quale racconta anche un po’ della sua vita, e la parte finale.

La lotta per l’esistenza.

Me a so ned a S.Clement /t’un castel che anticament /
E fu fat di Malatesta ,/a discend da zenta onesta /
sin ma det una busia, /a riteng però clan sia /
perché i mi i na mes insein /né pusion e né quatrein /
che sa fem la riflession / i più svelt e i più birbon /
chin temeva del demonie /ia lassè un bon patrimonie ;/
Iavrà e pedre da Berlich / i fiol che rest, ma iè tut ricch./
I mi i ma las poc capitel/ a ereditai at che castel /
una casaza tutta guasta ,/per mi us la sarea basta /
senza andè a rotta de col /a t’un ent sit a paghè e nol /
ma chènta, sona , bev e magna / at chi sit poc es guadagna,/
se mestier de calzoler /in poc temp a io fat per./
A provai da vend e vein /per salvèm un po’ d’quattrein/
allora prima an ni so scap,/a ho armèss botta, vein e tap./
Zenza nid, senza un valon/a fec una risoluzion …/
a diss:sarà quel che sarà!/a voi andè t’una zittà,/
ed infat a io indvinè /da pu che a Rimin a so andè/
am la pas com un sovran ,/ a stagh i là te borgh ad d’ S.Zvan/
sora l’Evsa vsen e pont /e t’un palaz cha pèr un cont………
……………………………………………………………..
Me a voi dè un avertiment / mi bagarein, mi pussident,/
si fuss enca trenta milla, / chi sarcorda chel dis Villa:/
quand e tribula al budel / an riga drett anca e zarvèl,/
chi staga in gamba ben attent,/ cla ni vaga malament!/. G. Villa.

Saluti.
Giovanna.

5 commenti:

  1. Dal 1874 in poi Villa è il portavoce dell'opinione popolare contadina romagnola sui principali avvenimenti nazionali: nelle migliaia di versi, poveri di aggettivi, realistici, in una struttura sintattica semplice Villa discute del suffragio universale, di elezioni politiche, del primo maggio, della guerra d'Africa, delle tasse, dell'operaio e la macchina, dell'emigrazione con logica stringata. La sua poesia, è un esempio di arte popolare che nasce dalla vita reale. I problemi della società sono chiariti dal cantastorie che invita a riflettere, a sdegnarsi, a prendere atto della situazione, che interroga con determinazione sul contributo dei contadini al benessere dei padroni:

    «an pagam 'gni cosa non?
    Chi è ch' cunsumma al su intred?,
    chi dà i quattrin, ma chi ammazed?,
    chi è c' lavora la su tera?,
    chi è c' andò, per lor, in guera?
    An m'arspondi, a stè tott zett?
    Chi èc' fa?, an fa i puvrett?»

    Villa viveva in una regione che era all'avanguardia delle lotte sociali e politiche, con le zirudèli [girondelle] si rivolgeva a un fittissimo pubblico di contadini, mezzadri, bovari, braccianti che a Rimini aveva visto la fondazione della federazione italiana dell'Internazionale dei lavoratori (1872) da parte di Andrea Costa e Carlo Cafiero; di Rimini era Amintore Galli che rivestì di note musicali l'Internazionale, a Savignano tra gli ascoltatori di Villa si trovò anche Giovanni Pascoli.

    Saluti
    Massimo

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  2. Caro Massimo,validissimo sostenitore del nostro Blog!Guai se tu non vi partecipassi,e in
    più così abilmente.Inoltre,ti ho scoperto appena ora come bravo conoscitore di storia sul grande Giustiniano. Ormai pochi lo ricordano,mentre fino a qualche decennio fa non c'era contadino, nelle nostre zone, che non conoscesse un po' delle sue zirudele, alcune delle quali si sapevano certamente a memoria. Bravissimo, e, se ti viene fuori qualche tua poesia in dialetto, mandala subito a San Clemente,ove si tiene un Premio di Poesie dialettali in memoria del grande Villa. Come indirizzo può andare bene quello del Comune di San Clemente(Rimini). Ma devi sbrigarti perchè hai tempo solo fino alla fine del mese, di Aprile s'intende. Ciao GBM

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  3. Buona domenica a tutti.
    Fa freddo, piove e quindi è particolarmente bello trovare in queste pagine un po' di "calore".
    Parlate di Giustiniano Villa e di San Clemente della "mia" terra e questo mi piace.
    Qui sono cresciuto in mezzo a gente laboriosa e socievole che aveva come punto d’incontro il Bar dove la sera si incontravano tutte le generazioni. La domanda più frequente degli anziani era “Com i dis mi tu?” (come “dicono” ai tuoi?) e la risposta doveva essere adeguata: guai a rispondere come se si fosse all’ anagrafe. Si doveva usare il soprannome di famiglia altrimenti ti avrebbero detto “a..alora t’cì ‘n giargianes”. Un po’ scocciato rispondevo spesso “ a so ClaVdio, l’anvod ad Civil” . Civil era il soprannome della mia famiglia, poco conosciuta perchè veniva per metà dalla provincia di Ravenna ed era stata così denominata perché il bisnonno Primin, mezzadro, portava sempre la camicia. Quando lo chiamavano col soprannome il nonno rispondeva sempre “Civil l’ostcia, ca magn semper l’ai e la zvola” . Nel Bar le zirudele di Villa venivano recitate tranquillamente a memoria dai più anziani e quelle che andavano per la maggiore, oltre alla classicissima “LA LOTTA PER L’ESISTENZA” erano quelle che narravano della guerra d’Africa . Una gettonatissima era “LA VITTORIA DEGLI ITALIANI IN AFRICA nei pressi d’AGORDAT contro i DERVISCI nella battaglia del 20 dicembre 1893”. Le strofe di maggior success ano erano queste. Chi erano i Dervisci? Per Villa

    “… Le na raza d’Africhen
    De Sudan, i n’è cristien
    i cred Maument i cred Alì
    per pontefic ià e Mandì:
    I vend i fiol, la cherna umena,
    com i bov bestie da lena
    i marchent i qua da non,
    ma al petenz con i cannon
    i sta attent ch’in po’ andè invell
    ad imbarchè sti por burdell.
    In quand pu la su figura,
    grand piuttost ià la statura,
    ner l’ istess come i carbon,
    ia del iongi da leon,
    cavill rizz e senza i baf
    un nes d’ insò come sti gnaf
    abre ross come e scarlat,
    di dent biench che per e lat;
    pech i ne chi va vistid
    si ne qualcun le tip da rid
    i porta indos na lunga vesta
    me da i pi sina la testa
    rappezed ad ross d’ turchin
    che per proprie d’iarlichin:
    cridì pu che ved cla zenta
    ma qualunque la spaventa”

    Altra gettonatissima era tratta da “Storia della guerra d’Africa” ed in particolare c’era una strofa su cui i nostri nonnI si soffermavano parlando di una battaglia in cui gli italiani uccidevano molti nemici ma ciò nonostante questi risultavano sempre numerosissimi. La strofa era questa:

    “… ma cosa vliv!... iera tent fitt
    più an butteva gamb da mont
    e più a vni sotta iera pront.
    Iv mai veis t’un cul d’arvora
    Un furmigher a scapè fora?
    Più tan maz e più tan brus
    e più an scapa me de bus?
    A vo trov un bel confront
    iafrichen fasì d’un cont
    iera na spec i la at che post
    al Amba-Langi contra i nost.


    Ecco vi ho raccontato un po’ della ultima San Clemente del Villa, quella di parecchi chili, sogni e capelli fa. Quella che doveva crescere e forse è cresciuta troppo e male. Ma questa è un’altra storia.
    Buon tutto a tutti.

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  4. Carissimo Claudio, con i ricordi della tua famiglia d'origine, e poi di alcuni pezzi di zirudele di Villa sei finalmente e veramente entrato a pienissimi voti nel nostro BLOG.Mi hai fatto ricordare come,per tutti gli anni '70, mi capitava spesso d'incontrare dei popolani in certe zone di Rimini,di Riccione e Cattolica, ma anche nelle zone del savignanese o di Cesenatico ( da Cesena in poi era più difficile), e,se io dicevo che ero molto interessata a Giustiniano Villa, c'era sempre qualcuno che, recitando a memoria, tirava fuori dei versi di qualche zirudela, quando addirittura non se ne ricordavano qualcuna intera. E, di tutte, la più ricordata era proprio quella che,anche tu, hai qui trascritta"Iv mai veist t'un cul d'arvora / Un furmigher a scapè fora?"... Basterebbero questi versi soli per entusiasmare il lettore ed avvincerlo per la grandezza del tuo vecchio concittadino Villa,e per lodarti sempre di più,che sei stato capace di far di nuovo mettere "in pista"questo poeta, altrimenti ingiustamente dimenticato.Grazie a Villa e a te!!! GBM

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  5. Dialetto per dialetto, entro anch'io in questa tenzone letteraria a gamba tesa, con una poesia in dialetto osimano scritta da un illustre concittadino, un sacerdote, che é stato anche partigiano, matematico, teologo, esperto di tradizioni popolari, poeta in vernacolo, morto ultracentenario, don Carlo Grillantini, (mi ha anche battezzato).
    L'AVARO.
    Quanno morse el sor coso, qull'avaro
    Ch'avria negato Cristo pr'un baiocco,
    Vulea ndà in Paradiso e al Portinaio
    Dumannò de ruprije.-Caro cocco,

    Je fece quello, adesso te preparo
    Pel Giudizio di Dio, io nun ce bbocco.
    Se dice sci, ce capi paro paro,
    Se dice no, le chiavi non le tocco-.

    Se fa el processo: Cume avete speso
    Tutti i quadrì che avete maneggiato?
    -Un giorno,dice, trovo a terra steso

    Un poro vecchio che non ea magnato.
    J'ho datto un soldo.-E po'?-Una volta ho Nteso ch'una famia c'éa el padre carcerato.

    J'ho datto un altro soldo.
    E dopo? - Finalmente un'altra volta,
    Che pei tisichi c'era la raccolta,

    J'ho datto pure un soldo-.
    Basta?- Pietro, fa allora el Padreterno,
    Rdaje i tre soldi, e mannelo all'Inferno!

    Penso che tutti comprendano questo facile dialetto,in caso contrario sono pronto alla traduzione, ma l'ora é tarda. Buonanotte, Franco.

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