sabato 13 febbraio 2010

FEBBRAIO E IL CARNEVALE


“Febrèr scutignòus,chèurt e capriciòus”, (febbraio tignoso, corto e capriccioso ),”Fèbrajul febrajet, curtignul e maledet”, “ se febrèr un fabrarèza(non fa breccia) maèrz e pensa maèl”.
Sono proverbi che la dicono tutta sulla fama di questo mese , che a volte è il più duro dell’inverno, malgrado sia il più corto.
E l’inverno una volta era tempo di stenti, di fame e di malattie e non si vedeva l’ora che finisse.
Uno spiraglio di ottimismo lo troviamo il 14 : “per S. Valentino, fiorisce lo spino” o “S. Valentin, la lodla la fa e nidìn”, ma subito qualche spirito realista ammonisce: “S. Mattia, la neve per la via”.
Questo mese, però, è favorevole alla semina di alcune piante da foraggio, tanto che: “chi vuole un buon erbaio, lo semini a febbraio” , mentre “ pioggia di febbraio, empie il granaio”.
Questo mese così incerto ha una nota positiva nel Carnevale,festa pagana per eccellenza, che la Chiesa , non essendo riuscita ad estirpare, ha tollerato cercando di limitarne gli eccessi.
In un “avviso al popolo “ del 1931 il parroco di Gatteo così si rivolge ai fedeli : si fa obbligo di non partecipare ai balli pubblici e si raccomanda moderazione nel divertimento, temperanza nel vino e modestia nel vestire.Difficile credere che tutti i suoi parrocchiani abbiano ubbidito…..
Per carnevale tutti vogliono divertirsi, si va a trebbo , si gioca e ci si diverte in tutte le case , specialmente dove ci sono dei giovani o delle ragazze da marito.
Anche i più poveri facevano mangiate grasse con piadina fritta, salsiccia e carne di maiale . Preparavano dolci semplici e poveri come le cantarelle e le castagnole e vino cotto (brulè) e si riunivano nelle cucine o nelle stalle in compagnia a scherzare, ballare e a giocare a carte.
Insomma il carnevale è sempre stato un periodo di confusione voluta e a volte trasgressiva , per togliersi sfizi mai concessi durante l’anno per toppa povertà, oppure per prendersi qualche rivincita sulle autorità. In fondo , come dice il proverbio : “ Carnevale viene solo una volta all’anno!”
Ad ogni modo ogni località aveva le sue usanze ,i suoi dolci e le sue tradizioni .
C’era chi si mascherava con indumenti rimediati , chi ballava nelle piazze e nelle aie intorno ai fuochi e chi, come a S. Pancrazio , nel comune di Russi , organizzava dei gran veglioni : negli anni
“20, durante il carnevale ne erano previsti tre consecutivi : le danze iniziavano alle 15 del pomeriggio e finivano alle due della mattina dopo.
Buon Carnevale a tutti, allora , e saluti da Giovanna.

4 commenti:

  1. Bravissima e puntuale la Giovanna per il suo Febbraio e il Carnevale. Io, molto più modestamente, posso ricordare uno "strambotto" popolare marchigiano che recitava così:
    "Finito Carnevà finito tutto
    finita la vescica dello strutto;
    finito Carnevà, finito ammore,
    finite pure sò le castagnole".
    Dove é lasciato intendere che finito Carnevale era un po' Quaresima per tutto! Buon Carnevale a tutti.

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  2. Buongiorno a tutti,
    entro nel blog in punta di piedi.
    Interessantissime per chi, come me, ama la sua terra le informazioni che ci si possono trovare.
    Simpaticissime le "marchigianate" di Franco.
    Sarà bello imparare leggendovi.
    Buon Carnevale a tutti!

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  3. Ti ringrazio per aver apprezzato le mie "marchigianate", vorrà dire che continuerò imperterrito. Franco

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  4. Care G.G. blogghine, siccome é Carnevale (carnem vale, addio alla carne) ed ogni scherzo vale, voglio mandarvi uno "scherzo" della memoria. Ero diciassettenne o giù di lì, quindi più o meno nel 1950. Eravamo nel pieno del Carnevale ed al mio paese (Osimo)si era soliti celebrarlo, (a parte il Giovedì Grasso, che tutta la piazza principale del paese era zeppa di giovani e bambini tutti rigorosamente mascherati che neanche al Carnevale di Venezia)con tre Veglioni consecutivi, domenica, lunedì e martedì fino all'alba del mercoledì delle ceneri. Noi giovanottelli, si sa, aspettavamo i balli carnevaleschi come ghiotta occasione di...rimorchio, e l'essere più o meno mascherati facilitava enormemente l'approccio. Io ricordo bene che avevo riciclato un vecchio smoking di mio babbo riadattato dal sartino del paese e mi sembravo...bellissimo. Così addobbato, andai al Cinema Teatro La Fenice, (tra l'altro un pregevole teatro Liberty recentemente ristrutturato)dove vi sarebbe stato il terzo ed ultimo veglione del carnevale, quello noto con il famoso, almeno per gli osimani con il nome di "Vejò del pappò", veglione del pappone, che non é come voi siete maliziosamente portati a pensare una sorta di festa dove i "protettori" esercitano il loro poco onorevole mestiere, ma il veglione più popolare per eccellenza. Il pappone, infatti, era una spece di minestra-brodaglia che durante il periodo bellico veniva distribuita dal municipio ai meno abbienti del paese. C'era il fior fiore delle ragazze osimane e tra queste, ricordo bene,sempre tre belle ragazze che erano apprediste camiciaie in un laboratorio artigianale fuori le mura cittadine, cui quando chiedevamo che lavoro facessero immancabilmente in puro dialetto osimano rispondevano: "Imparo le camige da omo". Ma lo scherzo, e concludo, fu questo. Avevo adocchiato una mascherina dall'aspetto "intrigante" e così le chiesi se voleva ballare. Disse di si, e come da protocollo feci delle avances e quella per tutta risposta " a scemo che fai, non vedi che so' la sorella de Giorgio?" e Giorgio era un mio compagno di liceo, esattamente il mio compagno di banco.

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